“(…)Noi però, i sopravvissuti, abbiamo dei doveri non solo verso i morti, ma anche verso le generazioni future: dobbiamo trasmettere loro le nostre esperienze, sì che ne possano trarre degli insegnamenti. Informarsi significa difendersi.(…) Come far capire a chi conosce la morte soltanto dalla lettura dei giornali che cosa prova un uomo che vede il fumo al di sopra dei crematori e sa che quel greve odore dolciastro è quanto resta di persone che ancora ieri marciavano in una lunga colonna per le strade del lager?(…)Il dilemma fondamentale mi sembra proprio questo: noi abbiamo il dovere di mostrare ai giovani quanto unico e inaudito, quanto inconcepibile, quanto eccezionale sia stato il tempo dell’Olocausto.”
Brano tratto dal libro GIUSTIZIA, NON VENDETTA di Simon Wiesenthal
Chi è Simon Wiesenthal? Un architetto ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti e divenuto, in seguito, alla fine della guerra, il più famoso “cacciatore di nazisti”. Dunque un “sopravvissuto” all’Olocausto che, come afferma nel brano riportato, ha il dovere verso i morti e verso i vivi; verso il passato e verso il futuro di mantenere la memoria, di conservare il ricordo perchè il mondo, l’umanità non dimentichino. Non dimentichino mai. Il 27 gennaio è stata proclamata “Giornata della Memoria” in quanto le truppe sovietiche, in questo giorno d’inverno e di desolazione, raggiungevano il lager di Auschwitz, in Polonia, liberavano l’esiguo numero di prigionieri ancora in vita, scoprivano la realtà spaventosa dei morti e l’orrore consumato dei sopravvissuti e mostravano tutto ciò al mondo intero. Era il 27 gennaio 1945. Da questa data in poi il mondo viene a conoscenza di AUSCHWITZ, triste nome, sinonimo di crudeltà, di aberrazione, di morte, di torture. Simbolo del male; immagine di sopraffazione dell’uomo sull’uomo; realtà rivelatrice di dove l’uomo può spingersi nella distruzione e nello sterminio quando la sua pulsione di morte raggiunge livelli di odio quasi impossibili. Da quel lontano giorno in poi, AUSCHWITZ è diventato tutto questo nella mente e nella coscienza dei popoli, e i sopravvissuti alla sua tremenda prigionia i testimoni diretti della vita che lotta, che non si arrende di lottare contro la morte e l’odio imperanti nel cuore dell’uomo. Nel gennaio 2013, i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti sono in pochi: il tempo scorre inesorabile, le generazioni compiono il loro ciclo vitale, gli scenari spazio – temporali mutano. Ma la memoria resta. E si trasmette attraverso gli anni, le vicissitudini, i modi e gli stili di vita. Come ricordare le migliaia di vittime innocenti che in pochi attimi AUSCHWITZ, da persone vive con una dignità e un umano sentire, ha trasformato in fumo che sale nel cielo su da un camino? Come immaginare o tentare di capire e far capire, appunto, “quanto unico e inaudito, quanto inconcepibile, quanto eccezionale sia stato il tempo dell’Olocausto?” Forse non basta nemmeno l’Arte. Forse neanche la musica. Forse neppure la parola… O forse sì, lentamente, inciampando e incespicando, inorridendo e con ira, ma, in fondo, immaginando e ricordando, ricordando e immaginando… “(…)Neve sui tralci del ferro,/ e silenzio che non si vuole ascoltare. / Cenere il vento,/ una cenere che il vento non può sollevare./ E l’alba dell’ultimo giorno sorgeva:/ il canto del canto mai nato,/ e il canto si accascia senza alcuna ferita.(…)” Versi che non voglio e non posso commentare, tratti dalla poesia AUSCHWITZ facente parte della silloge poetica ALBA, SUL PONTE SOSPESO di una Francesca Rita Rombolà giovane poetessa forse ancora in erba, ma sensibilissima al dolore, alla crudeltà, alla distruzione sistematica dell’essere umano, alla morte. Immaginando e ricordando, ricordando e immaginando, e sempre cantando… “(…)Sono morto con altri cento/ Son morto ch’ero bambino/ Passato per il camino/ E adesso sono nel vento/ E adesso sono nel vento./ Ad Auschwitz c’era la neve/ Il fumo saliva lento/ Nel freddo giorno d’inverno/ E adesso sono nel vento,/ E adesso sono nel vento(…).” Con queste parole, che non si devono e non si possono commentare, il cantautore Francesco Guccini e il gruppo musicale de I NOMADI hanno ricordato e ricordano; hanno immaginato ed immaginano, in una canzone famosa dal titolo AUSCWITZ, il dolore e la crudeltà, la distruzione sistematica dell’essere umano , la morte. Il 27 gennaio 1945 è una data entrata, a pieno titolo, nella storia dell’umanità. Una data che la memoria aborrirà e, allo stesso tempo, avrà sempre cura, perfino in quell’oblìo indifferente e accidioso che non conserva ma dimentica.
Francesca Rita Rombolà
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