“(…) Le donne salgono a fianco di Gesù, alcune qui, altre là, e Maria di Magdala è quella più prossima, ma non gli si può avvicinare troppo perché i soldati non glielo consentono, come non faranno passare nessun uomo e nessuna donna nelle adiacenze del luogo dove sono erette tre croci, due delle quali già occupate da altrettanti uomini che urlano e gridano e piangono, e la terza, nel mezzo, in attesa del proprio uomo, diritta e verticale come una colonna a sostegno del cielo. I soldati dissero a Gesù di sdraiarsi ed egli si adagiò, gli aprirono le braccia sul patibolo e, quando il primo chiodo, sotto il brutale colpo di martello, gli perforò il polso nello spazio fra le due ossa, il tempo retrocesse in una vertigine istantanea, e Gesù provò il dolore che aveva sentito suo padre, si vide come aveva veduto lui, crocifisso a Sefforis, poi l’altro polso e, immediatamente, la prima lacerazione delle carni quando il patibolo cominciò ad essere issato a strattoni verso la cima della croce, l’intero peso sostenuto dalle fragili ossa, e fu quasi un sollievo quando gli spinsero le gambe verso l’alto e un terzo chiodo gli attraversò i calcagni, adesso non c’è più niente da fare, c’è solo da attendere la morte (…)”
Brano tratto da “Il Vangelo secondo Gesù” di Josè Saramago
Josè Saramago (1922 – 2010), premio Nobel per la letteratura nel 1998, oltre ad essere lo scrittore più famoso e più letto del Portogallo, è indubbiamente anche lo scrittore più discusso, più polemico e forse il più trasgressivo e rivoluzionario. La sua formazione laica e di sinistra non gli ha impedito di trattare il difficile quanto elevato, e per certi versi tabù, tema della figura di Gesù e dei Vangeli. Da uno scrittore come Josè Saramago che nelle sue opere ha narrato di re, di assedi, di conquiste, di battaglie e di rivoluzioni, di conventi e di latifondi, di solitudine dell’uomo e di immani sconvolgimenti epocali e naturali forse non ci si sarebbe mai aspettato un libro che affronta i Vangeli e con essi cerca di misurarsi o di scendere timidamente a patti. O al culmine di una produzione affabulativa e linguistico – letteraria complessa, non è stato invece piuttosto normale “incontrare” la figura che ha spaccato in due la storia dell’Occidente e cercare di capirci qualcosa per uno scrittore della statura di Josè Saramago? Innanzitutto la lingua. IL VANGELO SECONDO GESU’ non ha paragoni nella letteratura mondiale per quel che riguarda il linguaggio, o se si preferisce, la scrittura se non con L’ULISSE di James Joyce e forse di riflesso con UNA VITA di Italo Svevo e IL MALE OSCURO di Giuseppe Berto. Ma se il flusso di coscienza nell’ULISSE è molto marcato, ne IL VANGELO SECONDO GESU’ si “scioglie” tutto nella libertà dei verbi e nell’anarchica applicazione della consecutio temporis. In UNA VITA di Italo Svevo o ne IL MALE OSCURO di Giuseppe Berto, romanzi – flusso linguistico di un certo spessore, la realtà narrativa non da mai spazio ad un mondo surreale, onirico e caleidoscopico, esotico e fantasmagorico, ne IL VANGELO SECONDO GESU’ sembra invece predominare, calato in una storia lontana o del tempo che fu, riportata al presente (un eterno presente) solo dal potere di evocazione del narrare e dalla magia sublime dell’Arte (Letteratura e Poesia in primis). Ne viene fuori, in sostanza e alla fine, una prosa che riempie per intero la pagina senza intervallo di punti, di virgolette, degli a capo e delle maiuscole dopo il punto: un fitto bosco dentro il quale il lettore può facilmente smarrirsi per sempre o ritrovare all’improvviso la via d’uscita, che in fondo non è mai definitiva. Forse Josè Saramago interpreta in un modo tutto suo le vicende dei Vangeli. Così, ne IL VANGELO SECONDO GESU’, si ha la storia del Cristo, uomo figlio di Dio, soggetto alla condanna biblica senza appello delle colpe dei padri che ricadranno sui figli. Ma la colpa che discende dai padri ai figli, biblica e inesorabile, ha qui una sua precisa radice. Ed è la colpa del Padre, visto quale Dio assetato di sangue e di vendetta, che farà morire sulla croce il Figlio, il diletto, agnello innocente, come innocenti erano i piccoli animali, le tortore, gli agnellini, i vitellini sacrificati dai sacerdoti del Tempio per la purificazione di Maria. Come può l’uomo pensarsi creatura divina se per l’intera esistenza deve soggiacere ad una legge di terrore esterna da sé, che non proviene cioè dalla propria coscienza? Perché si deve temere il castigo eterno quando il castigo dovrebbe mostrarsi, al contrario, nella vita terrena con il rimorso di coscienza? Questi sembrano essere gli interrogativi più pressanti che percorrono, corrente sotterranea e nascosta, l’intero libro. La poeticità dell’opera è forte e a tratti ineguagliabile. L’atmosfera dei luoghi e la suggestione dei paesaggi crea incanto e fascinazione. Le pagine dedicate al dolore di Gesù (durante la vita pubblica e infine sulla croce) raggiungono accenti toccanti, laceranti, umani e umanamente vissuti in tutta la loro intensità. Ma il dubbio esistenziale di Josè Saramago e di ogni uomo permane fondamentalmente immutato: chi è questo Dio che si fa presenza viva e senza tempo sotto le specie del pane e del vino? Perché si da in sacrificio sulla croce, il più atroce e il più crudele dei patiboli, per la salvezza dell’umanità? Capiremo mai veramente la sua immolazione davvero folle, folle quanto il suo amore per ciascun essere vivente? E’ una novità assoluta, il più grande dei misteri, il più oscuro fra gli enigmi, segno di contraddizione per molti questo Dio e nei secoli e nei millenni, e da sempre e ancora. Il terzo giorno Egli risorgerà dalla morte: dalla morte passerà alla vita, e non è più soltanto una metafora letteraria per quanto ardita, alta e profonda. Un “passaggio” era il senso definito della Pasqua per gli ebrei, un passaggio dalla schiavitù alla libertà intese in tutta la loro fisicità e realtà; un “passaggio” è il senso compiuto e definitivo della Pasqua per i cristiani, incomprensibile a volte, spesso incredibile per l’umana ragione, un passaggio dalla morte alla vita eterna intese in tutta la loro realtà e fisicità.
Il noto attore e regista australiano Mel Gibson scrive e dirige, nel 2004, il film THE PASSION OF CHRIST (LA PASSIONE DI CRISTO). Il film, girato interamente in Italia (precisamente in Lucania), si sofferma sulle ultime ore della vita di Gesù Cristo dall’arresto nell’Orto degli Ulivi, al processo presso il Sinedrio ebraico e davanti al governatore romano della Giudea Ponzio Pilato, alla sua terribile flagellazione fino alla morte in croce e alla resurrezione. Mel Gibson trae ispirazione dai Vangeli e dagli scritti della mistica tedesca Katharina Emmerich, e compone i dialoghi in latino e in aramaico (le lingue parlate ai tempi di Gesù) sottotitolandoli nelle lingue attuali. Il film ha suscitato molte critiche e polemiche di ogni genere, ma al di là di tutto rimane pur sempre un capolavoro cinematografico.
Francesca Rita Rombolà
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