Ebla, in Medio Oriente; Ur e Babilonia nella Mesopotamia; Gerico, la prima città edificata dall’uomo, in Palestina, sorgono in tempi molto remoti, quando l’umanità sta appena uscendo da una preistoria ambigua e piuttosto sconosciuta. Fin dalla loro fondazione, queste città si delineano subito come centri urbani di sicuro raffinati, depositari di una civiltà abbastanza sviluppata e con una capacità di contenimento umano, in un certo senso, di vera e propria metropoli per l’antichità. Sono città cinte da mura difensive talvolta molto poderose per resistere ad assedi anche lunghi da parte di eserciti nemici. E, seppur circondate dal deserto o da territori ostili, al loro interno vi è un brulicare di vita che nulla ha da invidiare ad una città odierna. Più tardi, la Grecia creerà città (Atene e Sparta, soprattutto) che avranno, nella loro idea – base, un concetto del tutto nuovo e molto importante: il concetto di Polis. La Polis è un luogo di sintesi umana dove si fanno leggi che si applicano alla società per governarla, con giudizio e civilmente; si producono traffici, commerciali e di altra natura; si sviluppa la capacità di aggregazione e di dibattito fra gruppi di persone contrapposti, dando vita, così, alla politica della quale, in fondo, nessuna società (fino ad oggi) potrà più farne a meno per governare. Una sola città diventerà col tempo, per mezzo di guerre e conquiste, la dominatrice del mondo conosciuto, e il suo nome sarà sinonimo di potere e di gloria: si tratta di Roma, della quale gli storici forse non smetteranno mai di studiarne le dinamiche e le cause che l’hanno portata a creare un impero mondiale. Nel Medioevo la città ha il grande merito di preservare il sapere, e allora sorgono, un po’ ovunque, le prime università dove studenti e docenti insieme sono consapevoli della novità dell’istituzione e del compito storico ad essi affidato. Durante il Rinascimento, ogni città (specialmente in Italia) ha il suo principe – mecenate promotore di una forma di civiltà complessa e straordinaria: egli si occuperà, infatti, di abbellire la propria città con edifici sontuosi e opere di architettura e di pittura per i quali si affiderà a dei veri e propri geni per realizzarle (si pensi innanzitutto alla Firenze di Lorenzo dei Medici o alla Roma di Giulio II della Rovere o alla Ferrara degli Estensi, tanto per citare qualche esempio). Nei secoli a venire, muta la società, muta la concezione del mondo, mutano gli umori. La città si espande, si rinnova ma si degrada anche: al suo interno vi è sfarzo e ricchezza ostentati da un monarca assoluto e dalla sua cerchia di aristocratici e insieme miseria, povertà, rifiuto di una classe sociale di disperati che crescerà a vista d’occhio. Se il poeta francese Charles Baudelaire, nel XIX secolo, scriveva nella sua opera poetica più famosa I FIORI DEL MALE, che la città è diventata “il luogo delle infinite possibilità e allo stesso tempo un inferno”, allora si deve guardare ad essa come ad un crogiolo di contraddizioni e a una marea montante di controversie varie e complesse, che inducano a riflessioni profonde e a ripensamenti inauditi. Cos’è oggi una città? Nell’era del post – moderno e di internet? Vien voglia di chiedersi, anche senza riuscire a dare una risposta esauriente o una qualche risposta soltanto. Proveremo a capirlo o proveremo a dirlo. La città è sempre luogo di scambi, di traffici, di dibattito, di progresso e di civiltà, ma anche forse di perdizione, di alienazione, di speranze e di illusioni, di sogni e di sconfitte, di lotta e di aberrazione. Di vita e di morte. Città quali New York, Los Angeles, Buenos Aires, Londra, Parigi, Tokyo, che contano dieci milioni e più di abitanti, hanno ancora tanto da dare all’umanità e al suo progresso o invece distruggono con freddezza e uccidono lentamente ciò che ancora resta dei sentimenti, delle passioni, dei valori e della dignità dell’uomo? Le città occidentali e le città del mondo si trasformano continuamente e rapidamente. La Rivoluzione Industriale, nel XVIII secolo, aveva inneggiato alle macchine e alla tecnica, trasformando la città quasi in una dimensione spazio – temporale manipolata e da manipolare a proprio piacimento; il XXI secolo ha dato volto, immagine, fisionomia a tale tendenza. Impossibile oggi vivere in una metropoli ultra – moderna; ma impossibile anche non essere “contagiati” o sfiorati dai suoi gusti e dalle sue mode, o dai suoi cambiamenti epocali. Le città languiscono, muoiono, rinascono, cambiano. Sono multietniche e multiculturali, a volte in modo quasi sproporzionato. Vi è oggi mescolanza e contaminazione di stili di vita, di linguaggi e, per la prima volta nella Storia forse, incontro – scontro di religioni e di civiltà diverse e apparentemente senza nulla in comune. Uno spazio globale abitato da milioni di persone necessita di strutture varie: di edifici, di quartieri; ha bisogno di verde e di colori per respirare: di alberi, di parchi, di fiori, di cieli azzurri, di vie, di piazze e di viali meno rumorosi. Ha bisogno di pace, di silenzio e di sapere se la sua esistenza è reale o virtuale: miraggio in mezzo al deserto o concreta realizzazione dei suoi progetti. Necessita, insomma, di una nuova e diversa concezione urbanistica. Interi quartieri metropolitani non vivono ma sopravvivono alla bell’è meglio, senza servizi di nessun tipo e altro. Spesso nemmeno le Forze dell’Ordine si avventurano in essi, e allora diventano regno della violenza, della delinquenza e del malaffare, dello spaccio di droga e della vendita clandestina di armi, in poche parole, del chaos perché le Leggi e l’Ordine sono impotenti o si sono arresi di fronte al degrado e alla sopraffazione del più forte sul più debole, ormai di proporzioni immani. La Rivoluzione Francese nacque nella città di Parigi e si consumò nella stessa città. Le moderne rivolte giovanili e di popolo, causate da un malessere oscuro e spesso inconscio, hanno nella città – metropoli il loro fulcro e il loro punto di riferimento. Bene o male, però, dall’incontro – scontro nasce anche la fusione, la fusion che contamina, certo, ma con un potere di creatività enorme e positivo (nel quartiere nero di Harlem a New York è nato il blues, nel quartiere francese di New Orléans il jazz, il grunge a Seattle ecc. ecc.): stili musicali diversi e nuovi; generi di prosa e romanzeschi che stimolano e aprono prospettive; generi di pittura informali; architetture evocatrici ed esotiche. E nel futuro? Forse la città del futuro sarà un deserto di sabbia o di ghiaccio; un inferno di cristallo o un paradiso di plastica e acciaio dove non si leva più nessun grido e non si ode più alcuna voce. Però oggi vediamo o constatiamo che il tutto, al pari di un mix troppo concentrato, può esplodere improvvisamente, generando catastrofi e apocalissi. L’idea di città sembra essere nata quasi misteriosamente e per incanto nella mente umana, e forse chissà che un domani, sempre ignoto, non scompaia altrettanto misteriosamente, non solo dalla mente, ma anche dall’inconscio collettivo umano.
Nel 2005, i registi Robert Rodriguez, Frank Miller e Quentin Tarantino (quest’ultimo special guest director soprattutto nell’ultimo episodio UN’ABBUFFATA DI MORTE) girano il film SIN CITY tratto dall’omonimo fumetto dello stesso Frank Miller, una serie indipendente della Dark Horse Comics. Il film è un capolavoro di genere. Le sequenze del film, in bianco e nero, e la fotografia sono realtà cinetica speculare alla tradizione rigorosa del comics americano. Del fumetto le scene riflettono il modo di muoversi e di parlare dei personaggi, l’atmosfera surreale nella quale operano e recitano, la dinamicità dell’insieme. Il film è diviso in tre episodi, che raccontano tre storie dell’opera originale di Frank Miller: UN DURO ADDIO, QUEL BASTARDO GIALLO e UN’ABBUFFATA DI MORTE. Colpisce lo spettatore, forse più di ogni altra cosa, la drammaticità fredda e determinata di SIN CITY (letteralmente Città del Peccato) città violenta e corrotta dove gli eventi che in essa accadono sono sempre macabri, delittuosi e violenti fino ai limiti dell’impossibile. La morte, il Male in tutte le sue sfumature, forti o deboli, i casi estremi della vita si concentrano tutti in questa “metropoli o megalopoli del peccato” non più moderna e forse neppure più post – moderna ma proiettata in una dimensione agghiacciante da futuro inimmaginabile. Sarà così la città del futuro? Di plastica e acciaio e di ghiaccio in tutti i sensi, soprattutto metaforico e reale? Di un futuro sempre atemporale? L’unica nota del film che lascia sperare ancora nella vita o nel risveglio di sentimenti intensi quale la passione e l’amore è il colore rosso, brillante e a volte luminoso; il solo colore al quale è ancora concesso spiccare nel grigiore e nella tenebra spietata dell’Inferno di una megalopoli sulla Terra, un toccasana per l’occhio assuefatto ormai a una visione contraddistinta dall’assenza totale dei colori.
Francesca Rita Rombolà
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