L’Umanesimo e la vita dello spirito – OMERO

15 Ottobre 2013
Omero

Omero

“Così dicean tra loro, quando Argo, il cane

Che ivi giacea, del paziente Ulisse,

La testa ed ambo sollevò le orecchie.

Lo nutrì un giorno di sua mano l’eroe,

Ma, spinto dal suo fato a Troia,

Poco frutto potè. Bensì condurlo

Contro le lepri e i cervi e le silvestri

Capre solea la gioventù robusta.

Negletto allor giacea nel molto letame

Di muli e buoi sparso alle porte innanzi,

Finchè, i poderi a facondar d’Ulisse,

Ne togliessero i servi. Ivi il buon cane,

Di turpi zecche pieno, coricato stava.

Come egli vide il suo signor più presso,

E, benchè tra quei cenci, lo riconobbe,

Squassò la coda festeggiando, ed ambe

Le orecchie, che drizzate avea da prima,

Cader lasciò: ma incontro al suo signore

Muovere, siccome un dì, gli fu disdetto.

Ulisse, guardatolo, si asciugò

Con mano furtiva dalla guancia il pianto,

Celandosi da Eumeo, cui disse tosto:

Eumeo, quale stupore! Nel letame giace

Cotesto, che a me pare cane sì bello.

(…)E tu così gli rispondesti, Eumeo:

Del mio re lungi morto è questo il cane.

Se tale fosse di corpo e di atti, quale

Lo lasciò, a Troia veleggiando Ulisse,

Sì veloce a vederlo e sì gagliardo,

Gran meraviglia ne trarrestri.

(…)Nè più si curano di lui le pigre ancelle,

Che pochi dì stanno in cervello i servi,

Quando il loro padrone più non impera.

(…)Ciò detto, il piede nel sontuoso palazzo

Mise, e si avviò direttamente verso i Proci;

Ed Argo, il fido cane, poscia che visto

Ebbe dopo dieci anni e dieci Ulisse,

Gli occhi nel sonno della morte chiuse(…)”

OMERO, ODISSEA, XVII,290 – 359. Versione di I. Pindemonte

Perchè un brano dell’Odissea di Omero? Perché proprio i versi del poema più antico dell’Occidente sul quale migliaia di persone, famose e non, in più di tremila anni, hanno dissertato, hanno compiuto studi e ricerche, si sono formati intellettualmente e per mezzo del quale hanno vissuto momenti appaganti? Per introdurre, in sintesi, una concezione della Poesia che forse si colloca, a buon diritto, nella qualità di categoria dello spirito. L’iniziazione al grado superiore della vita dello spirito si realizza e si compie mediante la Poesia: “strumento” meraviglioso che incanta l’anima degli uomini, pizzicandone le corde sensibili e sottili come se si trattasse di uno Stradivari e, per vie segrete, porta nei loro cuori una certa conoscenza intuitiva del Vero, del Bello e del Bene; esperienza sottile certo, ma tuttavia complessa e piena di sfumature varie e infinite, che si lascia indietro di molto le dimostrazioni rigorose e i concetti puri della scienza; infatti, lo spirito di finezza per L’Umanesimo è più importante di quello della scienza, soprattutto quando quest’ultima è dominata dalla tecnica.

L’uomo colto, per il Classicismo, è colui la cui infanzia e adolescenza sono state cullate dall’addio di Ettore ad Andromaca alle porte Scee di Troia, dall’ira di Achille e dal dolore di Priamo, dai racconti di Ulisse alla corte di Alcinoo, dal suo ritorno ad Itaca dopo venti anni e il toccante incontro col cane Argo morente che lo riconosce; colui che ha scoperto le passioni dell’uomo e il suo cuore profondo in un “finale di coro di Euripide” o in qualche aneddoto degli storici e colui che ha acquistato, così, una certa esperienza psicologica, un senso affinato dei valori morali, del reale e del possibile, dell’uomo e della vita. C’è da dire che la virtù propria della Poesia opera per sè stessa. Perché l’Umanesimo si basa, in definitiva, sull’autorità di una tradizione, che riceve dai propri maestri e che si trasmette, a sua volta, indiscussa. Da qui, in fondo, un altro beneficio: una certa omogeneità fondamentale, che rende più facile la comunicazione, la comunione fra tutti gli spiriti, tanto di una stessa generazione che di tutta una storia. Beneficio, forse, del quale apprezziamo (o dovremmo apprezzare) tutto il pregio nell’anarchia presente in cui si dibatte la nostra cultura. Nel seno di una cultura classica, tutte le persone, uomini e donne, hanno in comune uno stesso tesoro di meraviglie, di modelli, di regole e, prima di tutto, di esempi, di metafore, di immagini, di parole: un linguaggio comune, insomma.

Chi, nel corso della storia dell’Occidente, non ha potuto rievocare senza nostalgia un tale clima? Forse solo pochi. Forse nessuno. L’episodio del cane Argo, vecchio e dimenticato da tutti, giacente su un mucchio di letame all’ingresso della regia, che riconosce il suo padrone Ulisse e poi muore ha commosso qualsivoglia lettore o conoscitore orale del poema. Versi struggenti, dolorosi eppure sublimi, di una tale altezza e di un tale phatos da far rabbrividire quali: “ed Argo, il fido cane, poscia che visto / Ebbe dopo dieci anni e dieci Ulisse, / Gli occhi nel sonno della morte chiuse (…)” hanno fatto piangere personaggi come Alessandro Magno e Giulio Cesare, l’imperatore Augusto, Giulio II e Cesare Borgia, Caterina di Russia e Napoleone Bonaparte, Nicolaij Lenin e Charles De Gaulle, uomini e donne avvezzi a comandare eserciti e a cambiare il destino di interi popoli; uomini e donne, in poche parole, avvezzi al Potere e alle sue “distorsioni” dello spirito, alla sua durezza e alla sua spietatezza, che, però, in qualche angolo sparuto del loro cuore, hanno pur sempre conservato la capacità di meravigliarsi ancora di fronte alla forza evocatrice e suscitatrice dei sentimenti. Non è così per i potenti di oggi, Anno Domini 2013 in folle corsa ormai verso il 2014, uomini e donne che decidono della sorte di noi tutti, milioni e milioni di persone; soprattutto per L’Occidente di oggi che non si commuove più e non piange più dinnanzi ad un mondo classico nebuloso e prossimo all’oblìo, che sembra, anzi, aver rigettato e rimosso le proprie radici storiche e culturali. Ci auguriamo che non sia del tutto così, che in qualche angolino del cuore di un premier, o anche di un dittatore, di un presidente di uno Stato sovrano ci sia, comunque, ancora un po’ di posto per l’Umanesimo e per l’uomo… altrimenti, non riusciremo a risorgere nemmeno più dalle nostre stesse ceneri.

Francesca  Rita  Rombolà

P. S. Per te, nel giorno in cui compi gli anni, che ti commuovi ancora e sempre, leggendo i versi dell’incontro di Ulisse col suo fedele cane Argo, perché ami gli animali e ne riconosci la loro importanza per l’uomo. Possa tu, un giorno, ritrovare dopo molte avventure, nel bene come nel male, sulla porta della tua dimora un cane come Argo immutato nell’affetto e nella fedeltà.

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