L’amore è un pirata stanco
marcio di alcool
aggrappato al bancone
della taverna di legno
sul porto di mare
sul mare di legno
fradicio di sale
e racconta una storia
che viene dal mare
e finisce ogni frase
con la stessa cadenza
come le onde del mare
lui non dice parole
le infrange
noi siamo l’eterno ritorno
lui dice che siamo
l’eterno ritorno
Alessandro Oliviero
Quasi una canzone che culla le onde del mare. Come una nenia che calma i marinai quando il mare è in tempesta, e la loro memoria si perde nella malinconia di giorni lontani.
Un ritmo, in un certo senso, “salmastro” in cui il verso affonda, si immerge e riemerge per affabulare il visto o il vissuto.
Cos’è l’amore per Alessandro Oliviero in questa sua poesia? Forse la disillusione della vita e la caduta dei sogni, nei quali ogni elemento liquido, naturale, inconscio perde, diciamo così, la sua “etereità” e si trasforma in un qualcosa di duro, duro come il legno, della stessa consistenza del legno.
Le onde e il mare: voce e suono, vibrazione dell’anima che diventa parola, e in un flusso di parole si infrange come l’onda alta di marea sulla scogliera.
Le anime, gli spiriti o i cuori, infine, si perdono e si immedesimano nell’eterno ritorno che, come ha affermato, per primo, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, è un incessante fluire di vita e morte in cui ” ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione, e così pure questo ragno e questo raggio di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso”.
Ciascun verso, di per sè, è come sospeso su un baratro, che lo getterà nella continuità dell’essere vivo e percepibile solo nel presente.
Francesca Rita Rombolà
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