“Potenza quasi inspiegabile della parola che scioglie e connette. Potenza sconcertante dell’ora da cui figure incalzano sotto l’impero del nulla che esige una forma. Realtà trascendente della strofa piena di tramonto e piena di ritorno: la caducità dell’individuale e l’essere cosmologico, in essa si trasfigura la loro antitesi, essa sostiene i mari e l’altezza della notte e fa della creazione un sogno stigio: << Mai e sempre >>”.
Brano tratto da PIETRA, VERSO, FLAUTO di Gottfried Benn
Che cos’è il verso? Il verso di una poesia, beninteso.
Un verso poetico, che di poetica dice e alla poetica rimanda.
Il verso (dal latino versus, a sua volta da vertere, nel senso di tornare sui propri passi con allusione al tornare indietro della penna, cioè all’andare a capo, prima di aver raggiunto la fine del rigo) nella metrica classica è un raggruppamento di metri che comporta la possibilità di iato (iatus, apertura della bocca, in linguistica incontro di due o più vocali nel corpo di una parola che danno luogo a sillabe diverse) tra la sillaba finale e quella iniziale del verso successivo.
Più in generale, il verso lo si può definire come il punto in cui si incontrano: una componente stabile o invariabile e una componente variabile e dinamica. Queste due componenti formano un intreccio strutturale e indissolubile, che tollera appena la distinzione ai fini di studio e di descrizione prettamente razionale.
La componente invariabile è data dal metro che ritorna in maniera fissa e stabile in ogni verso dello stesso tipo e ne determina il numero delle posizioni.
La componente variabile e dinamica dipende dalla distribuzione degli accenti metrici, cioè dell’ictus (termine latino che significa letteralmente “battuta”).
Gli ictus, eccetto che nella posizione ultima, non sono fissi come il numero delle sillabe e possono dare luogo ad un andamento ritmico diverso da verso a verso, cioè alla creazione del ritmo o di un ritmo particolare.
La maggior parte delle classificazioni dei versi italiani, non riuscendo a tenere conto dell’innumerevole varietà dei ritmi, si basa allora, di necessità, sull’elemento stabile, ossia sul metro. Una prima differenza, che risale a Dante Alighieri (De Vulgata Eloquentia, II, V), è quella tra versi imparisillabi con accenti mobili e ritmo più sciolto e flessibile e versi parisillabi con accenti tendenzialmente fissi e un certo andamento dal ritmo piuttosto cantilenante. Tutti i versi italiani hanno un accento fisso sull’ultima posizione, cioè sull’ultima sillaba tonica.
E la strofa? Che cos’è la strofa? La strofa che determina una poesia. La strofa di una poesia. La strofa (dal greco strophè, tornare indietro, rivolgersi sui propri passi, con riferimento al legame originario della Poesia con la danza e la musica) la si può definire un raggruppamento di versi secondo un preciso disegno e con una distribuzione delle rime (e / o delle assonanze) che segue una struttura regolare e prevedibile.
Se, in senso metaforico, il verso è considerato una proposizione ritmica, la strofa è, in realtà, un periodo ritmico che riunisce due o, più frequentemente, diverse proposizioni ritmiche. La forma antica strofe, al singolare, anziché strofa si riferisce, di norma, alle strutture di imitazione classica e alla strofe lunga della produzione poetica di Gabriele D’Annunzio. Dunque, il linguaggio poetico ha sempre avuto, di per sé, le proprie regole, i propri ritmi, il proprio codice di composizione e di interpretazione.
Ma, in fondo, tutto sfugge e si identifica alla notte quando l’ascolto coinvolge l’anima, i sensi, il cuore; l’essere e la sua presenza; l’ispirazione e l’attimo; l’estasi o il dolore che comunicano al poeta il loro segreto più arcaico e recondito per il quale egli fa sì che ogni cosa vista, sentita, percepita e immaginata si configuri in parola e dalla parola trasfiguri in verso.
Francesca Rita Rombolà
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