“(…) Noi, che restiamo fermi sul terreno della filosofia, dobbiamo qui accontentarci della conoscenza negativa, paghi di aver raggiunto il limite estremo della positiva. Avendo riconosciuto nella volontà l’essenza in sè del mondo, e in tutti i fenomeni del mondo nient’altro che l’oggettività della volontà; avendo perseguito questa oggettività dall’impulso inconsapevole delle oscure forze naturali fino alle più lucide azioni umane, non vogliamo adesso sfuggire alla conseguenza: con la libera negazione, con la soppressione della volontà vengono anche soppressi tutti quei fenomeni e quel perenne premere e spingere senza meta e senza posa, per tutti i gradi dell’oggettività, nel quale e mediante il quale il mondo consiste; soppressa la varietà delle forme succedentesi di grado in grado, soppresso, con la volontà, tutto intero il suo fenomeno; poi finalmente anche le forme universali di questo: tempo e spazio e, per ultimo, la più semplice forma fondamentale di esso: soggetto e oggetto. Non più volontà. Non più rappresentazione. Non più mondo.”
Brano tratto da IL MONDO COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE di Arthur Schopenhauer
Il suo velo può essere bianco, azzurro, grigio, rosso, dorato, d’argento, nero o blu tenebra o anche non avere un colore preciso o definibile. Il velo della grande illusione cosmica. Il velo di Maya. Il mondo con tutte le sue bellezze e le sue brutture. Le sue ingiustizie e i suoi mali. Il suo dolore e la sua gioia. Le sue differenze e le sue contraddizioni. Le sue piante e i suoi animali. I suoi esseri umani. Tu e io. La mia vita. Il mio pensiero. Il tuo pensiero. La mia e la tua esistenza. Tu e io. Tutto è illusione. E su tutto scende il velo di Maya. A coprire. A nascondere. Ad offuscare. A confondere.
Uno spasimo intenso. Un vagito profondo. E’ il momento della nascita. Meraviglioso e terribile insieme. Ingresso in una dimensione sconosciuta e nuova. Pulsare tragico e sublime di eternità senza memoria. Un giorno di settembre. Il sole, il cielo, la terra e la mia infanzia. Quella farfalla bianca immersa nel presente. Nel presente che non scorre. Vola tra i fiori. Non ha sensazioni ancora il mio corpo acerbo. Non ha pensieri la mia mente. Neanche sogna ancora. Alla brezza fresca danzano uniti come polline sparso nell’aria.
Frammenti di tempo. Istanti di spazio. Realtà a più dimensioni. Esplosione di una stella. Formazione di un pianeta. La volontà non è ancora nata. La tua e la mia. Non possiamo ancora, perciò, rappresentarci il mondo. Raffigurarcelo in un modo o in un altro. Dargli una forma. Dare consistenza alle cose, descriverle per come sono, o meglio, per come esse non sono. I sensi danno la percezione immediata ma ingannano. E’ tutto un inganno. Perfino la vita. Perfino la morte. Sarà così la visione di ogni cosa. La sua rappresentazione immediata. Il modo di rappresentare dell’uomo legato da lacci invisibili alla vista, impercettibili al tatto. Un grido. Il silenzio. Il nulla. La follia dell’apprendere senza posa. L’ansia della conoscenza. Che ci fanno umani togliendoci dalle foreste buie della ferinità. Ma ci precipitano al suolo. Ci allontanano dalla luminosità degli dei. Ci rendono distanti dalla bellezza e dalla purezza degli angeli. Non so più pensare, immaginare, sognare. Non so più riflettere, ragionare, costruire, creare, manipolare. Non voglio farlo più. Attimo dopo attimo. Frazione di un istante. Milionesimo di un secondo. La nascita dell’Universo. Un bramito intenso. Un singulto profondo.
Tu e io. Squarciamo il velo di Maya con un artiglio magico eppure scarno come la roccia. Sì, per essere finalmente nella libertà. E per essere libertà. Sì, per entrare infine nella verità. E divenire noi stessi verità. Sì, per distruggere tutte le nostre paure e le paure del mondo. Sì, per annientare tutti i nostri condizionamenti e i condizionamenti del mondo. Le sue molteplici rappresentazioni dettate via via e di volta in volta dalla volontà, singola o collettiva, del momento storico. Tu e io.
Che cos’è tutto ciò?
Il primo respiro del tempo nuovo. Per la percezione umana sono passati quarant’anni. Tanti. Appena. Soltanto. Non per noi.
Francesca Rita Rombolà
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