(…) O uomo o uomo…per dove?
Non ci sono più strade.
Il sigillo sulla bocca è inciso
dentro la roccia inaccessibile
che chiude in eterno la Storia.
Io scrivo per i vivi
e sono morta nella viva luce che si rifrange.
Io scrivo, tu scrivi
e l’inchiostro non lascia nessuna traccia.
Io scrivo, tu scrivi ed egli scrive,
sopra muri e su polsi
tastati da mani e da chiodi.
Io custodisco, tu custodisci, egli custodisce
un segreto che non può
non può più custodire alcuna cosa.
Io parlo, tu parli e anch’egli parla
la parola che tace…
“Nel cielo pervaso da un fulgore,
un fuoco, un volo, una fiammata,
uno striscio di stelle che si perdono cupi
nel vuoto spazio d’intorno” (…).
Uno stralcio della poesia “AUSCHWITZ ” tratta da ALBA, SUL PONTE SOSPESO di Francesca Rita Rombolà
Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa sovietica liberava il campo di concentramento nazista di Auschwitz, in Polonia, rivelando al mondo, incredulo e attonito, gli orrori e le crudeltà in esso perpetrati.
Sono passati settanta anni, Auschwitz è diventato, da quel giorno in poi, sinonimo di sterminio, di sopraffazione dell’uomo sull’uomo, di perdita della dignità umana, di mancanza di umanità e del prevalere della più efferata barbarie.
Auschwitz: sinonimo del male puro, assoluto, banale. Del Male in sè fin dove l’essere umano può spingersi nel seguirlo fino in fondo.
Il 27 gennaio è stata proclamata Giornata Mondiale della Memoria proprio per non dimenticare.
Non dimenticare mai.
Auschwitz.
Di fronte a questo nome, a questo concetto, a questo significato perfino la parola tace, e la Poesia si “aggrappa” al doloroso silenzio della parola per dare un segno.
Un segno soltanto.
Sperando, forse inutilmente, che il mondo non conosca e l’uomo non viva mai più un altro Auschwitz in tutto e per tutto simile al “prototipo universale”.
Francesca Rita Rombolà
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