“Il deserto cresce: guai a chi cela deserti dentro dentro di sè!”
Da COSI’ PARLO’ ZARATHUSTRA di Friedrich Nietzsche
Su questa frase sibillina tratta da COSI’ PARLO’ ZARATHUSTRA di Friedrich Nietzsche penso, rifletto, mi soffermo qualche attimo a meditare intorno alla duplicità di significati (ma ce ne sono molti di più) del concetto o , se si preferisce, dell’idea di deserto.
Il deserto è comunemente inteso come una distesa di sabbia o anche di rocce quasi infinita, di un colore giallo piuttosto monotono dove non crescono nè fiori, nè alberi, nè piante in genere e dove le forme di vita scarseggiano alquanto, ed è quasi sempre associato all’Africa (anche se alcuni grandi deserti del pianeta si trovano in sud e in nord America). C’è chi vi vede nel deserto una meraviglia, a suo modo, della Natura; chi un paesaggio esotico senza eguali; chi la dimensione ideale dei grandi spazi possibili.
Ma per chi ci vive e lo conosce bene il deserto è un inferno con qualche raro flash di paradiso. Quando nel deserto soffia il vento enormi masse di sabbia vengono spostate all’improvviso e tutte ad una volta per kilometri. Una tempesta di sabbia ha il potere di sconvolgere, distruggere, di plasmare e di riplasmare, e le dune, che al termine vi si formano, possono essere alte come montagne. E così intere superfici vengono “inghiottite” dalla sabbia, compresi villaggi, piccoli agglomerati urbani e talvolta qualche città. Il deserto avanza non solo in molti paesi dell’Africa ma anche in California (di recente il governatore di questo stato ha lanciato un appello internazionale e ha chiesto al governo centrale degli USA il riconoscimento dello stato di calamità naturale a causa della grande e prolungata siccità in quasi tutto il paese e per l’avanzamento del deserto anche in prossimità di aree urbane fittamente popolate e famose), in Nevada, in Texas, in Cile, in Perù e in Australia.
La desertificazione è un fenomeno naturale (nemmeno troppo lento), e qualche volta provocato dall’uomo, di cui forse si sa poco e del quale forse si parla poco. Ogni anno kilometri di terra coltivabile si trasformano in dune gialle e ondulate, con il conseguente prosciugamento di corsi d’acqua, di pozzi, di sorgenti, di piccoli laghi e fiumi; perchè il deserto, si sa, porta con sè la sete: una sete terribile e indicibile, un bisogno di acqua disperato e vitale. Eppure anche alcune regioni del sud dell’Italia sono esposte al grande rischio di desertificazione, specialmente nei mesi estivi quando molte sorgenti naturali si prosciugano, i grandi fiumi sono inesistenti, le temperature sono alte, la siccità impera e le riserve idriche scarseggiano, con gravi disagi per la popolazione.
Fortuna che il fenomeno è limitato a pochi mesi dell’anno (fosse così per dodici mesi avremmo già da tempo un bel deserto di splendide dune dalla Puglia alla Sicilia, comprese la Calabria, la Basilicata e parte della Campania). Ma forse chissà se possibili scenari futuri prevedano proprio questo? Infatti, dove ora si estende il deserto del Sahara un tempo fiorivano città, campi coltivati e traffici commerciali in un clima piuttosto umido e piovoso. Chi avrebbe mai immaginato che un giorno tutto sarebbe diventato deserto? Un immane e spaventoso deserto?
Concludo affermando, con convinzione, che sì “il deserto cresce” e, di pari passo al deserto fisico-geologico-geografico cresce, in misura maggiore e a una velocità più elevata, il deserto che ognuno “cela dentro di sè”, ossia l’aridità dell’anima, del cuore e anche della mente: quella mancanza di slancio nelle passioni, nel percepire, nell’osservare, nell’elaborare, e di calore, di unità, di fratellanza, di vicinanza nei rapporti umani che rende la vita un inferno con qualche raro flash di paradiso.
Sta forse in ciò la duplicità dei significati del concetto di deserto?
Francesca Rita Rombolà
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