Fabio Casadei Turroni è nato nel 1964. Ha iniziato a scrivere narrativa nel 2000. E ancora si sente narratore, cioè scrittore di storie da offrire al lettore nel modo migliore che può. In ogni suo romanzo, o racconto, la Musica è importante. L’ultimo libro, “Perette Morali”, è una silloge di brevi storie ritmate: forse poesie, forse filastrocche. Ha basi accademiche musicali e, finchè ha potuto, ha eseguito musica altrui. La scrittura gli è scoppiata tra le mani nel momento esatto in cui non ha più potuto eseguire musica. Altre informazioni su Fabio Casadei Turroni possono essere attinte da Wikipedia.
D – Fabio Casadei Turroni, iniziamo col parlare di musica che è, per così dire, il tuo campo di azione. Dove va la musica elevata, la musica classica, la musica lirica verso un futuro in cui primeggerà nella società come nelle epoche dei grandi compositori(Mozart, Beethoven, Verdi, Puccini ecc. ecc.)oppure si trasformerà progressivamente in musica sempre più di nicchia?
R – Non è che la musica dei grandi autori fosse uno spettacolo di massa, vivi gli autori. I musicisti che sono rimasti nella storia hanno quasi sempre composto mentre altri musicisti, più corrivi al gusto del tempo, avevano maggior successo di loro con musica che oggi diciamo “di consumo”. Un esempio è Brahms, coevo di J. Strauss Junior il re del walzer viennese. La Grande Musica era quindi una musica di nicchia anche all’epoca: il grande pubblico la amava meno della musica di consumo, un pò come il cinema di Fellini, che aveva meno successo dei film di Totò. L’ Opera è un altro mondo in cui il favore del pubblico è stato sempre essenziale e quindi, per Puccini e per l’ultimo Versi, il discorso è più complesso. La diversità, rispetto ad oggi, è che all’epoca c’era molta più possibilità di sbagliare. Ora, invece, se un giovane non imbrocca subito la canzone giusta viene cestinato. C’era molto più spazio per i giovani di genio, che venivano apprezzati da committenti(quali l’aristocrazia)i quali erano in grado di discernere la buona dalla cattiva musica, chè gli aristocratici seguivano per solito studi musicali e spesso suonavano uno strumento. Un’altra differenza rispetto a secoli fa sta nella scelta dei musicisti di musica classica contemporanea di estraniarsi quasi del tutto dal gusto imperante e considerato banalissimo: non è troppo errato dirlo, ma certo la musica classica contemporanea, che è quella con cui più spesso collaboro come autore di libretti o per testi di canzoni o lieder, è di nicchia per propria scelta. Non cerca il consenso delle folle. Se, invece, i grandi nomi di un tempo possano essere tramandati al grande pubblico è questione intrigante: può essere importante, per un adolescente, conoscere Vivaldi al pari di Foscolo? Se la risposta è affermativa, gli autori vanno riproposti prima di tutto a scuola. In ogni caso, se i bambini fossero abituati a suonare uno strumento sarebbero loro stessi in grado di sapere quali siano gli autori a loro più confacenti. Che poi in Italia nelle scuole si insegni musica, poco e male, è certo.
D – Che cos’è, per te, l’ ascolto della musica e il comporre musica? Hanno entrambi un significato preciso e distinto?
R – La Musica è un’arte molto diretta. Arriva subito. Ascoltare e comporre stanno tra loro come il leggere e lo scrivere. Infatti, quasi ogni esecutore di musica è in grado di comporre. Nella letteratura, invece, soprattutto in Italia, non c’è penuria di autori che scrivono senza leggere, coi penosi risultati evidenti agli occhi di tutti.
D – Le grandi opere letterarie hanno influenzato le composizioni musicali, secondo te, e se sì in che modo?
R – Dai tempi della Grecia antica fino all’hip – hop la musica è legata alla parola. Le grandi opere letterarie, quali i poemi omerici, venivano cantate. C’erano anche musiche corali. Pindaro, con ogni probabilità, componeva anche le melodie per i propri brani. La tragedia greca, che a scuola ci fanno odiare tanto, era un variopinto spettacolo cantato e ballato. I monologhi erano arie. I dialoghi duetti. A Roma il “Carmen Saeculare” di Orazio fu sicuramente cantato e accompagnato da musica, nel Foro. Anche Plauto usava musica per la scena. Perfino “Le Bucoliche” di Virgilio venivano rappresentate sulla scena cantate. La nostra stessa meravigliosa letteratura nasce accompagnata da note. I nomi delle forme in voga all’epoca lo dimostrano: canzoni, sonetti, ballate… tutti intonati. Immaginate una canzone di Dante cantata? A scuola non ce lo dicono, ma c’erano esecutori e c’era un pubblico. Verdi, per ispirarsi, si rifà a Shakespeare. Ma anche Shakespeare faceva testi in buona parte cantati e musicati. I suoi attori, che facevano parti da donna, cantavano in falsetto. E così anche la musica strumentale può ispirarsi a opere letterarie, così come a opere visive: il poema sinfonico “Francesca da Rimini” di Tchaikoskij è ispirato a Dante, la “Dante – Siynfonie” di Litsz è ispirata alla Divina Commedia, i “Quadri da un’esposizione” di Mussorgski sono ispirati ad una serie di dipinti visti in una mostra, “Le Fontane di Roma” di Respighi è ispirato da alcune fontane di Roma… Ogni arte è legata all’altra. I legami artistici sono in massima parte sinestesici.
D – Cosa mi dici dell’ Arte in generale, è importante in questi primi decenni del ventunesimo secolo in cui la tecnologia sembra dominare tutto e tutti?
R – L’ Arte vera è, credo, nascosta nelle pieghe del mondo. A parte abnormi quantità di schifezza estetica, se scruti bene, l’ Arte spunta sempre in maniera magica come un fiore negli intersizi di un marciapiedi. Da un artista contemporaneo cerco lo specchio del mondo in cui vivo, deformato però. Voglio contemporaneità. Voglio città, ascensori, betoniere, canali di scolo, scie chimiche e immense discariche ricoperte di gabbiani malaticci. Voglio la natura violentata. Voglio la violenza religiosa per le strade. Voglio il nostro mondo scritto con la lingua del nostro tempo. Conosco molti poeti, li frequento, li recensisco, li presento. Ho scritto prefazioni e postfazioni; la qualità della poesia italiana è, di solito, mediocre. O ci si gingilla con la polisemia, senza alcun riguardo al lettore, che non capisce nulla, ovvero ci si ferma al tempo di Pascoli. Chi direbbe mai che tuttora la poesia italiana debba tanto al Pascoli? Tempo fa, leggere poesie “alla Pascoli” mi infastidiva; ora mi irrita. E, naturalmente, si cerca di copiare non i “Poemi Conviviali” ma “O Valentino vestito di nuovo… ” che è opera perfetta, senza una parola fuori posto, ma assai datata. Vorrei, insomma, che un artista mi legga la realtà con occhi nuovi diversi dai miei, e che mi faccia stupire. E anche commuovere.
D – La Musica ha un oscuro e imprescindibile legame con la Poesia? Musica e poesia? O poesia e musica?
R – In parte ho risposto più sopra. Nella nostra lingua benedetta dal cielo, abbellita di vocali che sono perfette e aggraziata di consonanti che non sono aspirate o ingolate la parola è già, di per sè, musica. In Italia chi parla canta. E’ per questo che il melodramma è nato da noi e non in Inghilterra, in Francia o in Russia. E’ una ricchezza che è bellezza di cui, noi italiani, non siamo consapevoli. E’ come quando camminiamo per le nostre strade, insensibili ai nostri monumenti. Basta andare all’estero, però, per rendersi conto di quanto povere siano le lingue degli altri.: nasali, ingolate, aspirate, gutturali… Sarebbe importante renderci conto della fortuna che abbiamo avuto a nascere nel Paese della Bella Lingua. Ci renderebbe più orgogliosi di essere italiani, credo.
D – Immaginiamo, per un istante appena, un mondo(forse futuro, forse passato, forse in un eterno presente senza più lo scorrere del tempo)in cui la Musica e la Poesia vengono rifiutati addirittura a priori. Come sarebbe questo mondo?
R – Quando ascoltiamo un suono, o un rumore, vibriamo alla sua lunghezza d’onda. Si chiama risonanza. Fungiamo da ripetitori di suoni. Li rimandiamo arricchiti dei nostri armonici, che sono paralleli al suono principale, e che ne determinano il timbro, la dolcezza o la ruvidezza. Anche ad occhi chiusi non possiamo non ascoltare. Anche a bocca chiusa cantiamo il suono del mondo. Nella misura in cui la Poesia è suono facciamo musica senza volerlo, e anche poesia. Faccio fatica, quindi, a strologare un mondo senza musica e senza poesia, ovvero: molti musicisti e molti poeti mi fan venir voglia di non aver orecchie per ascoltare, nè occhi per leggere. Ma poi mi ricordo che il mondo è tanto bello e che ci sta anche la bruttezza come parte del Tutto. E che l’imperfezione è umana. Una bellezza eccessiva, forse, ci ucciderebbe.
Francesca Rita Rombolà
Fabio Casadei Turroni
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