La massiccia porta dell’Infinito

20 Marzo 2019

L’ INFINITO      –    da I CANTI di Giacomo Leopardi

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo, ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Una fra le più intense, più profonde, più belle liriche che siano mai state scritte nella letteratura di tutti i tempi, non solo italiana ma addirittura mondiale. “L’ Infinito” di Giacomo Leopardi, punta di diamante dei “Canti”, compie quest’anno duecento anni; cioè è stata scritta, certo in varie stesure, nel 1819.

Generazioni e generazioni di studenti, di professori, di critici letterari, di amanti della poesia, di semplici lettori hanno studiato, commentato, scandagliato, letto soltanto questa lirica complessa e forse difficile ma di sicuro affascinante e ineguagliabile per le implicazioni di natura filosofico – mistica che la caratterizzano.

Come dimenticare la lezione, di ogni professore di letteratura italiana al Liceo, su “L’Infinito” di Giacomo Leopardi, che ruotava quasi sempre e finiva per vertere sul “pessimismo cosmico” del poeta il quale nasce e si evidenzia proprio in questa poesia struggente e meditativa?

Il “pessimismo cosmico” de “L’Infinito” di Giacomo Leopardi è stato sempre altrettanto famoso, pessimismo cosmico perchè abbraccia il Tutto e nel Tutto è presente quasi fosse una sorta di gene che si sviluppa dal filo d’erba all’animale all’uomo alle stelle.

Il senso misterico del verso è indiscutibile. La magia, spesso inconscia, talvolta ritmata, talaltra travolgente, della parola sembra rimandare la mente ad epoche primordiali in cui l’ Universo non è ancora, e la sua esistenza nasce là dove l’istante da inizio al tempo. L’ Essere si scuote, trema perchè il poeta è, in questo caso come non mai, quasi medium tra l’assoluto e la terra e riesce a veicolare l’uomo completo, formato di anima, di spirito, di corpo, in dimensioni precluse nella genericità della vita normale e piatta.

Forse, dopotutto, dopo due secoli esatti dalla sua composizione e alla luce di una sensibilità e di una percezione mutate, di modelli culturali e di stili di vita, letterari e non, in continua evoluzione, si può anche azzardarre a pensare che il “pessimismo cosmico” de “L’ Infinito” di Giacomo Leopardi non sia del tutto pessimismo e che forse, malgrado tutto, non lo sia affatto e che ne sono una prova (perchè no? Schiacciante) i versi finali: “… Così tra questa/Immensità s’annega il pensier mio:/E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Perchè il poeta non soffre e non si dispera mai in questa lirica, dal principio alla fine; anzi egli appare piuttosto quale sacerdote di tempi remoti che, nell’incommensurabile silenzio di una natura forse ostile ma pur sempre incontaminata, celebra il rito più vero e più spontaneo nei riguardi di Colui che ha dato soffio vitale ad ogni cosa. E allora perfino il suo dolore fisico, il suo tormento interiore, la sua solitudine vengono trasfigurati dall’ebbrezza, oscura e insieme feconda, che apre lentamente la massiccia porta dell’ Infinito.

Nel 2014 il regista Mario Martone realizza il film “Il Giovane Favoloso” incentrato sulla vita del sommo poeta Giacomo Leopardi. L’attore Elio Germano nel ruolo del protagonista: il poeta Giacomo Leopardi, appunto. Notevole la scena del film in cui il poeta compone “L’ Infinito” e ne recita i versi ad alta voce, quasi come un’offerta sublime che sale col vento e la nebbia oltre il cielo visibile.

Il film ha ricevuto una lunga serie di riconoscimenti che spaziano dal “David di Donatello” al “Nastro d’ Argento” al “Globo d’ Oro” e al “Ciak d’ Oro” fino alla nomination, al regista Mario Martone, al “Leone d’ Oro” alla 71° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Francesca Rita Rombolà

P. S. – Quante volte, mia cara sorella, abbiamo commentato, meditato, letto “L’ Infinito” di Giacomo Leopardi. Molte. Tante. Dalla tua e dalla mia adolescenza, spesso insieme, fino a poco tempo prima della tua morte in modo quasi costante, però mai in maniera scontata, banale, insignificante e sempre con una rinnovata passione di scavare ancora in un verso o in una parola per cercare di capire oltre l’apparenza e per carpire un “segno poetico” appena tangibile. Forse non è un caso che, a distanza di un anno dalla tua dipartita improvvisa e precoce, io sia ancora qui a scrivere su “L’ Infinito” di Giacomo Leopardi che quest’anno, 2019, compie i due secoli di vita. No, forse no… Solitaria e sola, come il poeta, il primo giorno di primavera, Giornata Mondiale della poesia, reciterò per te al vento, alla pioggia, al sole, alla luna, alle nuvole i versi di questa lirica che ci hanno, nel corso della nostra vita, forse colpito, forse intristito, forse anche annoiato ma di sicuro non poco illuminato.

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