Le nostre paure inconsce e i nostri incubi peggiori ne “Nel corridoio della notte” di Salvatore Napoli

24 Febbraio 2020

Innanzi tutto il titolo “Nel corridoio della notte”. In un corridoio ci si può smarrire o si può sostare per pochi minuti soltanto. Un corridoio lo si attraversa, in fretta o lentamente; è comunque un luogo di passaggio, di transito e talvolta, o anche spesso, può racchiudere in sé un certo mistero che affascina, imprigiona o annienta, specialmente quando si compone della notte, metafora, quest’ultima, di un qualcosa di sconvolgente, abnorme, sconosciuto, intangibile eppure presente come l’aria.

“Nel corridoio della notte” di Salvatore Napoli, Horti di Giano Edizioni, è un volumetto di racconti, cinque per l’esattezza, di genere che hanno tutti una specificità peculiare di fondo, cioè l’improvvisa tensione che riescono a creare e a trasmettere al lettore soprattutto nell’epilogo di ciascuno, mai immaginabile, mai possibile o definibile ma improvviso quanto allucinante che da quel tocco di particolarità all’horror più squisitamente ben orchestrato e ben realizzato. Il racconto “Regionale 9053” è lampante nella sua brevità. Per qualche verso può sembrare anche assurdo, perfino grottesco se alle battute finali non fosse mai subentrato l’elemento perturbante che lo fa precipitare nell’abisso il quale stritola e inghiotte inesorabilmente. “Pianobar – bot” è un racconto inquietante e sinistro nella sua calma descrittiva e in una normalità di stile che non si preoccupa di alcun ché. Forse è il più post – moderno di tutti in quanto si tenta il connubio, forse riuscito in modo completo, forse no, fra tecnologia avanzata e il senso vibrante dell’inspiegabile e dell’incredibile proveniente da dimensioni altre e che si spinge fino all’assimilazione uomo – macchina, psiche – materia portata alle estreme conseguenze dell’assassinio seriale. Non da meno gli altri tre racconti “Di sopra non abita nessuno”, “Marcellone” e “Braccata” che, seppur contemplano il delitto perpetrato in serie, hanno, ognuno a suo modo, una indipendenza strutturale endemica e felice; creano suspense, invogliano alla lettura, non scadono nella banalità, sanno tenere teso e lineare il filo dell’affabulare e danno la percezione di una imminenza surreale dai connotati onirici forti.

Il racconto, breve o lungo, è ancora in Italia un genere di nicchia. Si preferisce il romanzo, forse perché lo si può scrivere a tappe e lo si può leggere altrettanto a tappe, allungando così i tempi e dando perciò respiro all’intelletto o al sentimento immediato che ne scorga. Eppure il racconto non è da meno del romanzo, anzi, la sua immediatezza è indice di una certa padronanza della scrittura e di un modo piuttosto intenso di lettura. Cosa si cerca o cosa si trova “nel corridoio della notte” delle nostre paure inconsce e dei nostri incubi peggiori? Forse la comprensione di essi, forse la ragion d’essere di essi; in ogni caso quello che solo la scrittura e la lettura possono, infine, prestare, o in qualche caso, donare: l’appagamento e insieme il pungolo del dubbio, componenti essenziali nelle vicende dell’essere umano.

Francesca Rita Rombolà

Nessun commento

Lascia un commento

Poesiaeletteratura.it is Spam proof, with hiddy