“I classici della letteratura sono la mia attività principale nonché il mio grande piacere come lettore”. Dario Pontuale critico letterario e scrittore

3 Marzo 2020

Dario Pontuale, nato a Roma nel 1978, è scrittore e critico letterario. Ha pubblicato i romanzi: “La biblioteca delle idee morte” (2007), “L’irreversibilità dell’uovo sodo” (2009), “Nessuno ha mai visto decadere l’atomo di idrogeno” (2012), “Certi ricordi non tornano” (2018). Il racconto “I dannati della Saint George” (2015). E’ autore delle raccolte di saggi: “Ciak si legge” (2016), “Una tranquilla repubblica libresca” (2017). E’ anche autore della biografia critica “Il baule di Conrad” (2015), tradotto in Francia, e della monografia critica “la Roma di Pasolini” (2017). Dario Pontuale ha curato edizioni di Flaubert, de Maupassant, Zola, Musil, Stevenson, Melville, Conrad, Svevo, Salgari, Tolstoj, Puskin, Cechov. E’ co – fondatore della rivista letteraria “Passaporto Nausen” e collabora con la rivista salgariana “Il corsaro nero”.

Francesca Rita Rombolà e Dario Pontuale hanno conversato sui classici della letteratura e altro.

D – Vuole parlare un pò dei suoi libri, del loro argomento, dei loro contenuti?

R – Davvero complicato parlare dei propri romanzi e spiegarne il filo rosso che li accomuna. Posso lealmente dire che nascono da considerazioni dello spirito, da osservazioni reali, dallo sguardo sul mondo. Sono storie semplici, sbocciati da fatti piccoli, prendono spunto da eventi quotidiani che possono capitare a chiunque e che, a un tratto, trovano una deviazione inattesa, un bivio che porta altrove. Interviene un fatto, una persona, un oggetto che spezza l’equilibrio, sovverte l’ordine, toglie certezze rimettendo tutto in discussione. Non racconto super eroi con vite sensazionali, non penso che in esse si annidi l’essenza che cerco; mi affascina la vita che si muove attorno, vicino, di fianco ad altre vite. No di certo quella che aleggia sopra. Ecco, è forse questo il comune denominatore dei miei romanzi.

D – Con quale dei suoi libri, Dario, ha un rapporto particolare, o speciale, rispetto agli altri?

R – “La biblioteca delle idee morte” (2007) è stato il primo. Ero giovane, scrivevo racconti, ero pieno di slanci entusiastici e, inevitabilmente, acerbo nello stile. “L’irreversibilità dell’uovo sodo” (2009) è un libro di peripezie di viaggio e di scacchi. Ha avuto buoni consensi critici, belle recensioni e mi ha spinto a credere di più nella scrittura. In “Nessuno ha mai visto decadere l’atomo di idrogeno” (2012) ho cercato di concentrarmi su una tematica legata ai luoghi, ai ricordi e alle persone; un tentativo narrativo approfondito e accresciuto in “Certi ricordi non tornano” (2019), l’ultimo romanzo: l’opera che assomiglia di più alla mia idea attuale di scrittura, alle mie intenzioni e curiosità letterarie. Questi sono i miei quattro romanzi, pur non essendo propriamente un romanziere bensì un critico letterario. E’ questo il mio lavoro. “Il baule di Conrad” (“017) è una biografia critica sul grande autore inglese, ben apprezzata in Italia e poi tradotta in Francia. “La Roma di Pasolini” (2017) è un omaggio a due amori imperituri: Pasolini e Roma; parlarne nelle scuole, nelle librerie, nelle biblioteche di quartiere resta la soddisfazione maggiore. “Ciak si legge” (2016) è un libro sui grandi classici della letteratura mondiale, classici che ho molto amato in gioventù, raccontati sotto forma di invito alla lettura. Insomma, sono tutte fatiche, sudori e passioni cadute sulla pagina perciò è impensabile trovare un libro verso il quale nutro un rapporto privilegiato. Ovviamente hanno tutti caratteristiche diverse, dati differenti. Me li porto tutti dentro in egual misura, con pari affetto. Sono tutti figli della mia penna e della mia ispirazione.

D – I classici della letteratura italiana e straniera per lei.

R – I classici della letteratura sono il mio lavoro, la mia attività principale nonché il mio grande piacere come lettore. Li scopro, li inseguo, li curo, li riporto a vivere quando posso. Cerco di ritrovare quelli spariti oppure non editi ormai da tempo. Ovviamente preferisco certi autori invece che altri, certi titoli anziché altri; resto pur sempre un lettore con i suoi gusti. Ne amo molti. Una lista stilata d’istinto: Conrad, Svevo, Calvino, Pavese, Buzzati, Stevenson, Salgari, London, Morante, Melville, Ginsburg. Ce ne sarebbero altri, ma già questi mi sembrano troppi.

D – Essere critico letterario è gratificante, complesso o del tutto normale?

R – Nell’editoria di normale c’è poco. E’ un mondo balzano e dispotico, generoso e avaro, creativo e monotono, venale e poetico come molti altri. Essere un critico letterario non è gratificante perché molti pensano che i critici godano delle stroncature di certi autori e vivano di recensioni. Essere un critico letterario non è gratificante perché parecchi stanno alla larga dalla tua recensione reputandola “complicata e noiosa”, senza forse averla letta nemmeno una volta. Essere un critico letterario non è gratificante perché troppi confondono facilmente la critica con la polemica, la gazzarra, la maldicenza (ma ciò è colpa della TV). Essere un critico letterario non è gratificante perché molti credono basti stendere, con una buona forma, due parole per sbilanciarsi in opinioni insensate. Essere un critico letterario non è gratificante, ma a me piace esserlo più di ogni altra cosa.

D – La letteratura in generale nel 2020, secondo lei.

R – Ho poche opinioni al riguardo, o forse non ne ho di positive. Quindi sarò breve. La letteratura di oggi ormai si adegua a ciò che vogliono i media. Si scrive pensando già all’adattamento per la TV, si confezionano trame adatte ad essere vendute al cinema. Tuttavia lo reputo un fenomeno, questo, coerente in un Paese dove l’importante è “saper stare” e non “saper dire”. La spinta creativa di uno scrittore dovrebbe basarsi su quanto sentito realmente, sul senso intimo del proprio interesse e non adeguarsi a cosa potrebbe piacere al lettore. La “nobile” editoria, piaccia o meno, è un settore che risponde alla legge di mercato della domanda e dell’offerta, segue il flusso del denaro, l’effettivo significato artistico viene dopo. Senso etico ed estetico sono estinti.

D – La Poesia e la modernità sono in sintonia?

R – Poesia e modernità sono di sicuro in sintonia, ma per comprendere esattamente il loro legame è indispensabile capire prima cosa si intende per modernità o quali siano gli aspetti manifestati, i valori propugnati e i concetti tutelati da questa modernità. Appurato questo, allora, sapremo pure a che punto è la Poesia. Ogni equazione necessita almeno di un valore accertabile, altrimenti è futile sperimentalismo.

Francesca Rita Rombolà

Dario Pontuale

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