Fabio Mazzeo, professionista dal 1996, a diciannove anni inizia il mestiere di giornalista nella redazione di Telespazio. Scrive corrispondenze per “Il Corriere dello Sport”, trasmette in radio e sfrutta ogni opportunità per approfondire ogni aspetto del lavoro che ha scelto. Nel 1992 si trasferisce a Catania per essere assunto a Telecolor Video3 dove redige prima servizi per il telegiornale, occupandosi poi di ideare e condurre trasmissioni giornalistiche di cronaca e sport. Collabora, inoltre, alla realizzazione del primo TG trasmesso interamente sul web. Dalla Sicilia contribuisce alla realizzazione di reportage per la trasmissione Rai “Mixer” di Giovanni Minoli. Dal 1998 al 2008 Fabio Mazzeo è Direttore della TV privata Tremedia – VITV, occupandosi personalmente di curare il palinsesto. Collabora con numerose testate nazionali e regionali e svolge l’attività di inviato per il “Giornale di Sicilia”. Gli vengono assegnati numerosi premi per il giornalismo, e tra questi il premio della Presidenza della Repubblica. Dal 2008 abita a Roma dove ha intrapreso un’altra carriera diventando capo ufficio stampa prima nei gruppi alla Camera dei Deputati, poi del Ministero della Salute. Da dicembre 2016 coordina l’ufficio stampa e comunicazione di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). Il suo primo romanzo, “La solitudine degli amanti”, è disponibile da marzo 2020.
Francesca Rita Rombolà e Fabio Mazzeo conversano insieme di giornalismo, di scrittura, di poesia.
D – Fabio Mazzeo, vorrei che parlassimo un po’ del suo romanzo che sta per uscire, o è già uscito, “La solitudine degli amanti”.
R – E’ un giallo, forse atipico perché la caccia all’assassino si sviluppa insieme ad altre storie unite da un comune denominatore: La solitudine. Quella delle vittime e quella dei due principali protagonisti: una donna magistrato molto determinata che è sola per scelta, ma sembra incespicare nell’amore, e un ispettore di polizia addirittura dilaniato dalla solitudine dopo la morte della donna che amava. C’è, infine, un altro tipo di solitudine (quella dell’assassino) che, senza svelare troppo, possiamo dire che interpreta la sua solitudine dando vita a una forma di amore patologico. Anche per questo il mio libro è stato scelto per una serie di incontri sul femminicidio.
D – Lei è giornalista professionista da molto tempo. Come è cambiato questo mestiere negli anni?
R – Direi radicalmente. E’ cambiato il linguaggio, il ritmo di scrittura, quello di lavoro. Oggi il cronista non matura più il pezzo, non ne ha il tempo. Quando ho cominciato io c’erano tecniche diverse tra TV, radio e giornali. Oggi sono tutti eternamente in diretta. Pochissimi conservano il senso dello scoop, proliferano i cosìddetti diffusori delle notizie. La notizia esplode, e tutti col telefonino a raccontarla. Sono pochi quelli che con sacrifici vanno a scovarla rischiando. Più spettacolo che cronaca, molti commenti e pochi fatti, anche in cronaca nera dove soprattutto la TV da il peggio di quello che può. C’è una tendenza all’omologazione e alla scrittura breve. Forse per questo in tanti della, ormai, vecchia guardia prendiamo spunti di cronaca per scrivere dei libri. Con, spesso, il risultato imbarazzante di avere un brutto giornalismo e una pessima narrativa. Per fortuna resistono buoni giornalisti, e alcuni romanzi non sono male.
D – La scrittura, la scrittura artistica soprattutto, è un mezzo per scavare dentro la psiche degli uomini e di se stessi per tentare di capire gli altri e se stessi, o un modo per veicolare un qualche messaggio alla società?
R – Credo che le due cose coincidano, e parlo ovviamente per me. Scrivere ha rappresentato per me un modo di buttare fuori una serie di cose maturate negli anni. E la scelta di una trama che parlasse di donne uccise è nata da una sofferenza precisa. Assistere quotidianamente ai delitti che chiamiamo “femminicidio” è diventato per me insopportabile. Ho trovato il mio modo di fornire un piccolissimo contributo, e il prossimo romanzo entrerà ancora di più in un fatto di cronaca che mi ha creato un forte disagio, un senso di ingiustizia e smarrimento. Se vuoi cambiare il mondo ti esponi a brutte figure. Lo scrittore ci prova, ma da quando sono morti Sciascia e Pasolini non ho visto grandi interpreti. Ci proviamo un pò tutti, credo ammirevoli e un pò goffi. Scriviamo storie carine, alcuni le scrivono molto carine ma senza verità. Non credo che la colpa sia tutta degli scrittori se intorno al romanzo, anche quello di genere, è nata una specie di familismo per cui esisti se ne fai parte. Però intorno gli scrittori bravi sono tanti. E sono felice che Carofiglio sia arrivato allo Strega. Potrebbe rappresentare una svolta nella percezione del valore dei giallisti che scrivono bene e hanno cose da dire.
D – Fra i molti premi per il giornalismo che ha ricevuto c’è stato quello della Presidenza della Repubblica, vero? Ha significato qualcosa di diverso per lei ricevere proprio questo premio?
R – Fui contento di riceverlo perché me lo consegnò il presidente Ciampi e perché fui segnalato dopo la realizzazione di un video inchiesta, con tanto di fiction, su un caso di violenza giovanile estrema: la storia di un ragazzo bruciato vivo che segnò la mia Messina. E’ un premio che l’editore ha ritrovato nel mio curriculum, lo ha inserito sul web e ora rimbalza. Ma lo hanno vinto decine di colleghi, non ho più neanche la pergamena.
D – Continuerà a scrivere romanzi? Avrà una carriera di scrittore parallela a quella di giornalista?
R – Vivo per scrivere, anche se la scrittura non mi da da vivere. Scrivo sempre, ogni giorno. A gennaio ho consegnato un mio nuovo romanzo, ne ho altri due già pronti. Scrivo non meno di cinque cartelle al giorno e di tutto. Posso coltivare questa ambizione grazie al lavoro di giornalista che, invece, mi fa guadagnare. Mi sono specializzato in un settore, quello sanitario, che purtroppo non conosce crisi. Le due cose convivono bene.
D – Se nel mondo non ci fosse più poesia come sarebbe il mondo?
R – Sarebbe pur sempre una veranda sul mare che può essere anche in tempesta, ma ti ricorda sempre che sei vivo e che c’è un orizzonte oltre il quale non vedi. E ti fa accettare entrambe le cose.
Francesca Rita Rombolà
Fabio Mazzeo
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