L’ulivo: simbolo di pace e di resurrezione

11 Aprile 2020

L’ulivo: pianta millenaria, eccellenza endemica delle terre intorno al bacino del mar Mediterraneo. Non vi è civiltà senza ulivo, non vi è ulivo senza civiltà. I popoli del sud dell’Europa lo sanno bene perché da millenni le loro terre ospitano questa pianta insieme alla storia, alle leggende, ai miti che hanno disegnato e formato l’Occidente. Ancora oggi al Sud vi sono ulivi che, secondo la leggenda, sono stati piantati da Ulisse, alla cui ombra si sedette Ercole, al cui tronco rugoso si appoggiò Pitagora. Da un commento di Servio Tullio al libro I delle Georgiche di Virgilio si apprende di una fortezza, Gargaròn (dal nome di una delle vette del monte Ida nella Troade), costruita in Calabria da centocinquanta troiani che approdarono nel golfo di Taranto dopo la distruzione della loro città.

L’Ulivo, In Calabria, è provato, era coltivato già nel 1200 a. C., proprio il tempo della leggendaria guerra di Troia cantata da Omero! Uno strano fenomeno sembra sia la caratterista dell’ulivo: esso “cammina”, e i molti esemplari ritorti e bizzarri, che oggi si vedono dalla Calabria alla Grecia, dalla Spagna alla Terra Santa, sono il frutto della “frammentazione migrante” di ceppi antichissimi, addirittura plurimillenari. Cosa significa ciò?

<< Nessun albero >> dicevano i greci << cresce fino al cielo >>. Anche gli alberi delle specie più longeve, raggiunta la massima dimensione, muoiono, uccisi dalla loro mole gigantesca; infatti, il legno morto che li tiene in piedi aumenta fino a rendere insostenibile, nei fusti giganti, il rapporto fra la parte viva e quella secca, per cui il tronco si dilata e comincia a svuotarsi, e più si allarga e più il tronco si fa cavo finché crolla sotto il suo stesso peso.L’ulivo no. Cresce, si svuota, continua a crescere ma, invece di morire restando uno, si scinde in più piante le quali riavviano il suo ciclo di vita. Questo, forse, ha fatto apparire (e ci fa ancora apparire) la pianta endemica del Mediterraneo come se fosse eterna. Al massimo del suo diametro l’ulivo comincia  a dividersi. Il tronco, spesso ormai vuoto, in corrispondenza di ferite, nodi, potature, attacco di parassiti, si assottiglia, rinsecchisce, muore e si crepa verticalmente. Questo può avvenire in più punti e più volte fino a frammentare il tronco in tre, quattro, cinque parti ognuna delle quali, verso i mille anni, inizia una vita propria perché, in corrispondenza delle fratture, dove il tronco muore, si estinguono anche le radici. La ceppaia si divide, e ogni “pianta derivata” si porta via, in dote, la sua parte di radici o fondamenta. Questo, dunque, innesca il meccanismo, diciamo così, che fa “camminare” gli ulivi: la parte interna dei “nuovi” alberi è ormai legno morto con radici estinte, mentre sul lato esterno crescono radici per generare e alimentare la corteccia giovane. Così la pianta di ulivo “cammina”, andando alla deriva nella direzione della parte verde del tronco. I nuovi ceppi procedono nel verso da cui arriva il sole.

Nell’Orto di Getsemani, a Gerusalemme, dove Gesù sudò sangue la notte del Giovedì Santo, poco prima di essere arrestato dalle guardie del Sinetrio, i vecchi alberi di ulivo, testimoni antichissimi della sua notte di sconforto e sofferenza indicibili, pare siano derivati, secondo molti botanici, da un ceppo unico, per polloni o fratture del tronco originario, e se ne riconosce il punto di partenza, perché gli ulivi “camminano” anche gettando polloni dalla base del tronco o dalle radici distanti dal tronco. Gli ulivi, allora, sorti da scissione, si muovono da sempre come i popoli del Mediterraneo: derivano, conservando, quale punto di riferimento comune, la memoria di un origine, il tronco che non c’è più.

I rami dell’ulivo sono belli a vedersi, lo sguardo si riempie della loro visione e ne viene ristorato e rinfrancato. I rigori dell’inverno non fanno cadere le sue foglie, i suoi frutti sono gustosi al palato, l’olio che da essi si ricava è il più pregiato fra gli oli: ha unto il capo di sovrani, il corpo di atleti, i capelli di condottieri. Rami di ulivo agitati da folle gaudenti proclamarono la regalità di Gesù (re di pace e di giustizia per antonomasia) al suo ingresso a Gerusalemme, commemorata da più di duemila anni dalla Chiesa universale con la Domenica delle Palme.

Quale altra pianta perciò avrebbe potuto diventare simbolo di pace e di resurrezione? Nessun’altra davvero al mondo. E soltanto la Pasqua, festa di pace e di resurrezione, ne avrebbe potuto essere, e ne è, l’emblema.

L’endemica pianta di ulivo

Lo portò la colomba – un rametto

sconosciuto e gentile-

al patriarca Noè

quando le acque del Diluvio

si ritirarono dalla terra.

E fu simbolo

di pace e di umiltà per sempre.

Sotto la frescura e la bellezza

dell’ulivo

giocarono, si riposarono, soffrirono

uomini, dei, semidei, re

appartenenti a popoli e civiltà

di ogni sponda del Mediterraneo.

Sopra la bara di una persona cara

sostò quel fragile e forte

ramoscello d’ulivo

intirizzito per il freddo e la pioggia,

e resistette a tutto

anche all’abbandono del ricordo.

Dolce nella sua quiete millenaria

dopo ogni tormentosa notte dell’anima

l’endemica pianta d’ulivo

annuncia la vera sconfitta della morte

e il glorioso ritorno

della luce e dell’alba.

Francesca Rita Rombolà

P. S. – Una Buona Pasqua ad ogni essere vivente sulla terra.

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