Dopo Luis Sepulveda un altro grande scrittore di lingua spagnola si è spento pochi giorni fa, esattamente il 19 di giugno. Carlos Ruiz Zafòn avrebbe compiuto cinquantasei anni il prossimo 20 settembre, era nato infatti nel 1964 a Barcellona, in Spagna. E’ morto a Los Angeles, in California (Stati Uniti d’America) stroncato da un cancro al colon.
Scrittore di spessore mondiale, portatore di un senso della scrittura e della letteratura come strumenti di comunicazione universale, Carlos Ruiz Zafòn era considerato uno dei massimi scrittori spagnoli. Le sue opere sono state tradotte in ben cinquanta lingue, quindi si può dire veramente in ogni angolo del pianeta a dimostrazione, forse, di come il concetto di globalizzazione ha un valore molto positivo e altamente significante per quanto riguarda le lettere. Ci lascia prematuramente Carlos Ruiz Zafòn, ancora al culmine di una giovinezza avvolta dalla piena maturità dell’età che induce alla vera e profonda comprensione di se stessi, delle cose tutte, di quel che abbiamo vissuto, che stiamo vivendo e che forse vivremo.
Carlos Ruiz Zafòn è stato l’autore della tetralogia “Il Cimitero dei Libri Dimenticati” composta da: “L’ombra del vento” (il più conosciuto dei suoi libri che ha venduto milioni di copie nel mondo); “Il gioco dell’angelo”; “Il prigioniero del cielo”; “Il labirinto degli spiriti”, de “La trilogia della nebbia” composta da: “Il principe della nebbia”; “Il palazzo della mezzanotte”: “Le luci di settembre” e dell’opera “Marina”. Egli ha saputo realizzare una fusion composita e piuttosto brillante fra generi quali il noir, il poliziesco, il fantasy, il gothic novel. Non è mancata nelle sue opere la presenza del “realismo magico” così caro, e sapientemente creato, ad una certa generazione di scrittori latino – americani: si pensi, ad esempio, a Isabel Allende, a Miguel Asturias, a Luis Sepulveda, a Mario Vargas Llosa, a Jorge Luis Borges, a Gabriel Garcia Màrques. A quest’ultimo soprattutto ha guardato di più Carlos Ruiz Zafòn trovandovi una sorta di latente ispirazione speculare capace di creare meraviglia e attesa e una vena di malinconia intensa evocata dal potente stimolo della memoria sfociante nell’incanto del ricordo, che sembra portare sempre con sé quel senso imminente e recondito del mistero fuori dagli schemi. A tal riguardo voglio riportare proprio l’incipit de “L’ombra del vento”: <<Ricordo ancora il mattino in cui mio padre mi fece conoscere il Cimitero dei Libri Dimenticati. Erano i primi giorni dell’estate del 1945 e noi camminavamo per le strade di una Barcellona intrappolata sotto cieli di cenere e un sole vaporoso che si spandeva sulle ramblas di Santa Mònica in una ghirlanda di rame liquido>>, che sembra riportare, anche se con sottili sfumature di sottese e palesi differenze, l’incipit di un altro romanzo famoso, cioè “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Màrques, appunto: <<Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche>>.
Carlos Ruiz Zafòn ha amato conoscere, ha amato scandagliare e capire per mezzo della scrittura. Ma, in primis, ha amato scrivere e ha amato leggere. Ha amato i libri. Convinto della loro importanza per la formazione interiore e per l’educazione sociale e civile dell’uomo di ogni tempo, anche dell’Homo Tecnologicus, anzi soprattutto dell’Homo Tecnologicus ricco di risorse tecniche ma smarrito nell’anima e nello spirito. Concludo questo breve ricordo di Carlos Ruiz Zafòn con alcune frasi dalle prime pagine de “Il labirinto degli spiriti” per ribadire, ancora una volta, l’atmosfera di magia e quasi di assoluto che la sua scrittura riesce a trasmettere al lettore: << (…) Lentamente, come se cercassi di camminare sott’acqua, riuscivo ad addentrarmi nell’incantesimo di quella Barcellona ferma nel tempo fino a raggiungere l’ingresso del Cimitero dei Libri Dimenticati>>.
Il vento, e la sua ombra
Se il vento riuscisse
a gettare la sua ombra
sull’uomo e sulle cose
allora l’uomo si volgerebbe
verso l’Infinito,
e le cose percepirebbero
ancora inanimate
il richiamo dell’Assoluto.
Ma l’ombra del vento
non avvolge, non copre,
non si mostra
perché come tutte le ombre
non paventa la luce
ed è oltre ogni oscurità.
Francesca Rita Rombolà
Nessun commento