Di recente è stato chiesto ad un algoritmo, da parte di una società situata nella Silicon Valley (California, USA), la Yewno esattamente, la cui piattaforma mette in connessione i concetti che trova nel suo archivio memorizzando ogni giorno milioni di pagine, di comporre una poesia così come l’avrebbe scritta, ad esempio, Emily Dickinson o Novalis o John Keats o Eugenio Montale. In modo specifico, per “l’esperimento” fu scelto il poeta italiano Eugenio Montale. E l’algoritmo, servendosi dei concetti, la compone, non uguale in tutto e per tutto ad una poesia di Eugenio Montale, ma nello stile attinente e proprio della sua poetica, lasciando sbalorditi gli stessi ricercatori che gli avevano inoltrato la richiesta in quanto i versi composti sono risultati “perfetti” nell’assonanza, nella metrica, nella sintassi e nell’allitterazione, e addirittura nel sentimento e nel pathos che hanno saputo ricreare… quasi come se la poesia fosse stata scritta dal poeta in persona, magari ritornato, per qualche attimo appena, dall’Aldilà. Ecco la poesia di Eugenio Montale scritta – elaborata dall’algoritmo in questione:
“Ciò che rimane è l’esile traccia di filigrana
che leggera segua i nostri passi
è l’idea di te che lascerai la mia vita
ed io che incerto proseguo il mio cammino.
Ed il senso desolato dell’inverno sui campi brulli,
la fioca luce che traspare dai filari sparsi,
l’imbrunir del tempo che saluta il giorno,
il sonno lieve di chi aspetta l’indoman nascente.”
Cosa pensare di ciò? A tutta prima sì, si rimane sbalorditi (per non dire un poco sotto shock), e si potrebbe d’impulso e d’impatto anche pensare che Eugenio Montale si sia quasi come “incarnato” nell’algoritmo ma poi, passato il primo momento di smarrimento, si cercherebbe forse più che di capire di riflettere un po’. Gli ultimissimi sviluppi dell’intelligenza artificiale stanno rivelando cose davvero strabilianti! Le persone che contano (scienziati, capi di Stato, comandati di eserciti, intellettuali, politici, membri dell’alta finanza internazionale ecc. ecc.) non fanno che magnificare, tessere le lodi di un futuro piuttosto prossimo che apparterrà di netto all’intelligenza artificiale la quale migliorerà praticamente tutto: dalla vita delle persone a quella degli animali e delle piante, dall’industria all’architettura alla medicina alla ricerca spaziale, insomma ogni campo dell’applicazione e dell’applicabile. E’ questo, in fondo, ciò che si attendeva da decenni ( se non da secoli): una sorta di “paradiso artificiale in terra”. Mah, sarà che tutto cambierà in meglio quando l’intelligenza artificiale avrà raggiunto uno sviluppo tale da potersi trasformare nella direttiva principale di una società ormai divenuta globale a tutti gli effetti… ma per quanto riguarda la Poesia: libera espressione dell’anima, ascolto interiore dell’Essere, percezione profonda delle cose, unicità e prerogativa esclusiva dell’uomo, cambierà veramente tutto in meglio?
A questo punto faccio, soprattutto a me stessa, per prima, le domande conclusive: può, o potrà, l’algoritmo “sentire” quel che il poeta sente quando parla alla luna o contempla la bellezza del cielo stellato sopra la sua testa? Percepire la voce del vento, delle onde del mare o il profumo della rosa in boccio che così tanto rendono felice il poeta? Ed avvertire, talvolta su di sé come il poeta, il grave fardello del dolore degli esseri che, malgrado tutto, non hanno smesso e non smetteranno mai di soffrire? Forse sì. Chissà? E allora, per gli umani, sarà diventato ormai forse inutile continuare ad abitare il pianeta come specie vivente… un tantino diversa dalle altre.
Francesca Rita Rombolà
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