C’è forse un momento, della vita dell’artista, in cui questi desidera un “approccio” più stretto, quasi più intimo con la Poesia. Egli sa, comprende quando questo momento è giunto, quando il suo bisogno interiore è divenuto pressante e maturo per potersi estrinsecare ed essere così fecondo. Allora può venirne fuori un solo verso, intenso, sublime, profondo, oppure una poesia completa con un titolo definito e pregno di significato e da questa, continuando a “portar fuori” ricordi, esperienze vissute, percezioni, riflessioni, sentimenti e passioni assopiti e traboccanti, un’intera silloge poetica con altrettanto titolo pregno di significati palesi o nascosti, sottintesi o espressi apertamente. Il bisogno intimo dell’artista è, dunque, appagato; ma al mondo è rimasto il fascino perenne della poesia e il messaggio da essa veicolato. Se ci si sofferma, anche per un attimo soltanto, con lo sguardo dell’incanto, dell’ideale e della speranza si riuscirà a vedere che ogni cosa dell’esistente, la più infinitesimale (come, ad esempio, un granello di sabbia o il polline di una pianta) come la più grande (ad esempio, una montagna o il mare), sono colmi di poesia, anzi sono essi stessi poesia viva che pulsa, si muove, interagisce nascostamente con l’altro e si perpetua al di là dello spazio e del tempo.
“Amori & disincanti” è il titolo di una silloge poetica il cui autore è Valerio Vigliaturo. E’ esattamente la prima silloge poetica pubblicata da questo autore. Valerio Vigliaturo è scrittore e cantante jazz nonché il direttore del Premio InediTo – Colline di Torino, e adesso è anche un poeta; ma forse poeta lo è sempre stato e solo ora si è ritenuto “pronto” per esternare la sua poesia e il suo modo di fare poesia. Ho trovato nuova e particolare questa silloge poetica. “Amori & disincanti” sembra essere composta, diciamo così, da cinque parti o momenti: la prima parte, senza titolo; la seconda “Dalla parte opposta”; la terza “La parabola dell’esistenza”; la quarta “De sidus”; la quinta “De sideribus”. Il verso è libero, sciolto, preciso forse anche un pò sulla falsariga del rap in quanto del rap, oltre alla cadenza musicale, sembra avere una certa carica di denuncia, di anarchia, di affabulazione della realtà immediata colta proprio nell’immediato e nella quotidianità di strada. Un verso che taglia, frantuma e sconvolge; un verso post – moderno che della post – modernità sa cogliere le conseguenze e i malumori, i dubbi, le incertezze, le paure, le fragilità e un certo malessere serpeggiante dietro o all’interno di un’intera società a livello globale. Il poeta non può esimersi mai dall’ascoltare e dal cantare ciò che accade, ciò che vive e ciò che muore, ciò che trasforma, impoverisce o distrugge come ciò che arricchisce e costruisce, in una parola il mondo.
Valerio Vigliaturo ha sofferto, ma ha anche gioito; ha percepito il vuoto, l’oblìo, l’abbandono che fa male, ma ha anche reagito a tutto ciò. Ha ascoltato gli avvenimenti del mondo, e li canta. Ha conosciuto l’amore e, insieme all’amore, la delusione e dunque il disincanto. Entrare nella sua poesia è quasi un voler conoscere se stessi e tentare di capirsi e di capire per riuscire a superare l’angoscia che spesso, comprensibilmente, ci comprime e ci imprigiona nella sua stretta morsa, e non ci lascia scampo. Inoltrarsi nella sua poesia è forse voler percorrere la parabola dell’esistenza che racchiude il mistero stesso di quest’ultima, perfino in tempi che non reagiscono più al forte pungolo dell’Arte.
Francesca Rita Rombolà
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