Andrea Taietti è nato a Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo. Si è laureato in Lettere, all’Università degli Studi di Bergamo, con curriculum in Scienze dell’editoria e della promozione multimediale. Ha frequentato per due anni la Holden di Torino. Ama la filosofia, la cucina, i libri. Andrea Taietti è stato finalista in diversi premi letterari fra cui il Premio Letterario italo – russo per giovani scrittori e traduttori. Le sue pubblicazioni. “Stavolta è difficile”, “Ed è quasi giorno”, “Igel”, “Bianco di felicità” (in Almanacco letterario 7).
Francesca Rita Rombolà ha conversato con lui.
D – Andrea, il tuo periodo alla scuola Holden di Torino.
R – Sono stati due anni unici. Ho sempre fatto fatica a capire quando qualcosa è più unica che rara. Fino alla Holden. Sì, sono stati davvero due anni unici e che, probabilmente, non rivivrò più. Ne sono consapevole, perché la Scuola di Scrittura Holden ha la capacità di portarti in un mondo e fartici restare ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette quando sei a lezione ma, anche e soprattutto, quando non lo sei. Hai l’opportunità, infatti, una volta varcata la soglia del primo giorno di opening doors, di vivere due anni a stretto contatto con decine di persone che hanno la tua stessa passione, la tua stessa fame di storie. E succede che ovunque tu vada parli di storie. Così in classe, ma anche a cena, al pub, o nelle meravigliose piazze di Torino parlavo sempre e solo di storie. Non mi capiterà mai più di avere questa oppurtunità e questo amore. Perché sì, lo considero un amore, ora che quel periodo è finito e che mi sono immerso nel lavoro. E poi sono stati due anni unici in quanto ho avuto la possibilità di leggere tanto, sempre e comunque. E anche questo non tornerà più. Oltre a questo, che è già molto, sono stati due anni in cui ho potuto apprendere tantissimo. Ho scoperto davvero le storie, il perché tutte meritano di essere raccontate e il perché sono fondamentali per il mondo. Perché è questa la verità. Più del bagaglio tecnico, di scrittura, di conseguenze, di autori e modelli che ho potuto apprendere, scoprire e che potrò così custodire e utilizzare per il mio lavoro, la scuola, i docenti e i compagni mi hanno proprio aiutato a capire a fondo le storie. In un senso diverso e sotto punti di vista che non avevo immaginato prima. Ora, nella vita e nel lavoro, voglio raccontare storie, più che pormi un ruolo e una posizione come obiettivo. E, per ora, è quello che nel mio piccolo cerco (e forse ci sto riuscendo) di fare: raccontare storie.
D – Che cosa significa scrivere per te e cosa ti aspetti dalla scrittura?
R – Scrivere per me significa raccontare la verità. Sono una persona che ne è sempre alla ricerca. Mi interessa solo la verità. Forse per questo scrivo principalmente ispirandomi a storie vere. Mi sto appassionando anche a libri, film e serie TV che raccontano fatti realmente accaduti. Sono molto critico coi miei testi, ma quelli che più mi soddisfano sono proprio i testi che raccontano la verità. Spesso parto da interviste, domande, ricerche. Anche se poi il racconto si sviluppa con elementi inseriti dal narratore, tengo sempre riferimenti precisi, spesso storici. Faccio fatica a definire i miei testi, ma altri mi hanno definito uno scrittore impegnato, un narratore del sociale. Penso che abbiano ragione. Alcuni dei miei ultimi racconti, risalenti a parecchi mesi fa, sono proprio di questo tipo.
D – So che ami leggere, fra le tue letture preferite vi sono anche libri di poesia?
R – Non saprei dirti un libro di poesia in particolare. Mi piace Wislawa Szymborska e forse Giuseppe Ungaretti, ma mi ritengo ignorante in materia o comunque non sufficientemente preparato da parlarne.
D – Come immagini il possibile romanzo che mi auguro presto scriverai?
R – Nemmeno a dirlo, è un romanzo basato su una storia vera. Lo sto già scrivendo, avanza piano piano a causa degli impegni sul lavoro, ma la voglia di finirlo cresce sempre di più. Spero che racconti la verità. Sono partito pensando di dover raccontare una storia d’amore, ma poi mi sono reso conto che stavo narrando di integrazione. Più ho scavato più ho capito che, in realtà, sto parlando di culture e di generazioni.
D – Gli scrittori di oggi sono interessanti, secondo te? Ne apprezzi qualcuno in particolare?
R – Sì, ci sono scrittori odierni interessanti. Sono, però, più un tipo di lettore che valuta un libro in quanto tale, non dipendente dal suo autore. Leggo la storia, come un pò tutti, inconsciamente penso. Faccio un pò fatica anche qui a farti dei nomi (potrei dire Ammanniti, Carofiglio, Lagioia e così via) perché non ci sono autori di cui amo tutto o altri di cui non mi piace nulla. Ci sono stati casi di scrittori dei quali il primo libro letto non mi è piaciuto per niente ma poi invece, attratto dalla storia raccontata in un altro loro libro, li ho ritenuti interessanti. Posso citarti un libro che ho trovato interessante: “Quasi amore” di Ugo Cornia. L’ho sentito maledettamente vero.
Nessun commento