“Produco veleno” è l’opera prima di Silvia Temponi. E’ una raccolta di poesie netta, precisa, secca, tagliente, a tratti dissacrante dall’effetto forte e immediato quasi come il classico “pugno nello stomaco”. Chi l’ha meditata e scritta è una ragazza non ancora maggiorenne che ha forse trovato nella poesia uno sfogo e un punto di approdo importanti per il presente e per il futuro. Colpisce, in quasi tutte le poesie della raccolta, la costanza dei sentimenti e la percezione di una crisi che non è prettamente soltanto adolescenziale. Un certo pessimismo di fondo rimarca ancora una volta la difficile esistenza del poeta nella sua scoperta della vita e la complessità nel rapportarsi al mondo e alle cose che ivi dimorano. E anche se il linguaggio è ancora acerbo e veicolo di semplice essenzialità che ha bisogno di maturare col tempo, ciò che esprime e che imprime può dar adito ad una riflessione di certo non superficiale su quei temi molto cari alla gioventù di ogni periodo storico e di ogni latitudine. Emblematica, a tal riguardo, la citazione, presente nel volumetto, dalla famosa opera di Wolgang Goethe “I dolori del giovane Wherter”; segno questo che i giovani sperimentano la sofferenza esistenziale e sono capaci di scandagliare e di capire la propria interiorità anche ai tempi di internet e dello smartphone. Fra le varie poesie dell’intera silloge “Stanchezza” sembra rimandare a un ché di vagamente montaliano: “Lasciatemi stare./Sono solo/un povero angelo/inciampato/in questo mondo/tanto orrendo”. Il suo ermetismo è quasi struggente e rimanda a quel mistero recondito insito nel verso. Tristezza, solitudine, vuoto e tutto il male di vivere irradiano dai versi di “Confessione”, un’altra poesia ermetica nei contenuti e nella brevità: “Vorrei accarezzarle il viso e/confessarle che/se la caverà,/anche stavolta./Piccola,/il mondo è assai crudele/con i cuori sensibili,/ma mai invano”. I poeti e chi ama la Poesia hanno cuori sensibili da sempre e, da sempre, sperimentano su di sé la crudeltà gratuita del mondo … ma, di sicuro sì, mai invano.
Francesca Rita Rombolà
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