“Angelo di pietra – La barca del destino” è l’opera prima di Duccio Di Stefano. Si tratta di un romanzo edito dalla Carthago Edizioni nel 2018. E’ una storia strana, stimolante fin dalle prime pagine, raccontata da un io narrante svelto e lineare nel suo affabulare, interamente immerso nella liricità del racconto in quanto si tratta anche del protagonista. Dunque, “Angelo di pietra – La barca del destino” è una storia d’amore. Sì, una storia d’amore in una Sicilia dirompente e meravigliosa vista con gli occhi incantati di chi sa scorgere nel suo sole, nel suo mare, nella sua natura e nelle sue tradizioni più genuine un mondo capace di accogliere, di donare e di far maturare la propria interiorità ma anche, spesso, difficile, primitivo, quasi selvaggio, capace di celare molte ombre minacciose che si nutrono di oscurità psichica. Gonzalo Maraquena è un pescatore, figlio di una Sicilia tipica e tuttavia moderna, con origini spagnole per via del nonno paterno e una gran voglia di cavalcare la vita che ogni giorno lo tempra e lo plasma come uomo. E’ proprietario di una barca, la “Sebastiano Padre”, e con essa si guadagna da vivere pescando e portando i turisti in un giro panoramico intorno ad una costa splendida e sulle onde di un mare ancora più splendido. Quasi all’improvviso o forse, meglio, per un imperscrutabile segno del destino, sulla sua barca salirà, un giorno, una “turista particolare”: una ragazza molto bella di nome Carolina. Fra i due sboccerà subito un amore passionale, forte, tellurico e deciso come l’isola di Sicilia, che coinvolgerà le loro anime e i loro corpi interamente. Gonzalo e Carolina vivranno momenti intensi la cui profondità sinergica sembra perdersi in abissi di fuoco e cenere, di dolore e di gioia, di sogno e di estasi cullati quasi sempre da onde benigne e amiche, da sapori, odori, suoni che sanno di meravigliosa ancestralità e di vita esuberante, piena, spontanea. Tuttavia al di sopra, o al di sotto, di questo amore possente e corroborante aleggia, o serpeggia, una sorta di mistero che finirà per travolgere e cambiare il protagonista e che darà alla fine un senso compiuto alla storia che ha vissuto. Bellissime le descrizioni che Gonzalo fa degli elementi naturali: il sole, la pioggia, il vento, le nuvole; l’azzurro del mare, insieme all’azzurro del cielo, crea sapientemente lo sfondo naif di un affresco che si proietta al di fuori del tempo e oltre ogni dimensione di finitudine.
Che epilogo avrà questa ardente storia d’amore narrata con parole ancora più ardenti e vibranti?
Carolina scomparirà, quasi all’improvviso così come era apparsa, e lascerà un Gonzalo pieno di dubbi e carico di perché il cui domandarsi è come una richiesta inconscia di aiuto alle onde del mare e al vento che le muove, fino al giorno in cui una misteriosa telefonata porterà Gonzalo fuori dalla Sicilia, nel nord dell’Italia, alla ricerca di Carolina e soprattutto della verità.
Tra le nebbie endemiche di una pianura padana velata di solitudine e di silenzio, Gonzalo infine incontrerà un personaggio enigmatico (Mariarosa, madre forse irreale o forse troppo reale, di Carolina) che svelerà tutto il recondito mistero, dal principio alla fine, di questa donna bellissima e diversa la quale ha cambiato la vita di un giovane pescatore socievole ma solitario. Un mistero che sconfina, lentamente e significativamente, nel soprannaturale, in quella dimensione o sfera cioè in cui gli angeli possono prendere sembianze umane e vivere per un attimo del tempo infinito in mezzo agli uomini o, viceversa, trasfigurarsi immaginificamente in creature eteriche con sentimenti umani dalla purezza cristallina. Forse, a mio parere, un brano del romanzo, dal capitolo I – La fabbrica del sale, pare mostrare al lettore attento la chiave più idonea ad aprire la porta di una possibile interpretazione di questo romanzo surreale e, al tempo stesso, palpabile come il sale:
“(…) Mi immagino la tua casa bianca, quella che ho visto solo nella mia mente, con le ombre verdi degli alberi tutto intorno. Immagino carte, fogli che frusciano tra le tue mani. Immagino te, seduta dentro. All’ombra, con l’angelo di pietra dietro di te che ti osserva. Ti scruta. Un angelo di pietra con gli occhi vuoti come quelli che ci sono nei musei. Un angelo di pietra che io, inconsapevolmente, stavo cercando di cacciare. Ma, paradossalmente, lo stavo anche aiutando ad afferrarti (…)”.
Forse sì, un angelo di pietra che racchiude il proprio destino.
Francesca Rita Rombolà
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