Gualtiero Scola è attore di teatro e di cinema e regista teatrale. Ha calcato le scene dei maggiori teatri italiani quali il Piccolo Teatro di Milano. Nella preparazione, stesura e realizzazione dell’opera teatrale musicale “Francesco” è a fianco di Angelo Branduardi e interpreta proprio San Francesco di Assisi. Nel 2006 si reca in India per interpretare Dante Alighieri in un’opera teatrale tratta dalla Divina Commedia. E’ la voce di personaggi molto popolari fra i bambini in numerosi cartoni animati o in videogiochi di grande successo. Negli ultimi anni ha consolidato la collaborazione con editori di audiolibri come Audible e Storytell. Interpreta negli anni numerosi spot pubblicitari diretto, tra gli altri, da Gabriele Salvatores e Giuseppe Tornatore. Al cinema è come protagonista in. “AAA Achille” scritto da V. Cerami e musicato da N. Piovani e in “L’amico Segreto” girato prevalentemente all’interno della comunità di San Patrignano; come ospite in “Il Cartaio” di Dario Argento, “Ultimo Stadio” di I. Di Matteo, “L’assedio di Vienna” di R. Martinelli, “Beyond the mist” di G. Varlotta e tanti altri. Prende anche parte, con un piccolo ruolo, a “Gangs of New York” diretto da Martin Scorzese. In televisione le partecipazioni più seguite di Gualtiero Scola dal grande pubblico sono: “Un medico in famiglia”, “Distretto di polizia”, “La squadra”, “Casa Vianello” e “Cuori rubati” prodotti da RAI 2 dove interpreta uno dei protagonisti. Partecipa anche a diverse fiction prodotte dalla RSI Televisione Svizzera. Gualtiero Scola dirige l’Associazione Teatridanzanti con la quale si dedica alla realizzazione di spettacoli di sua ideazione ispirati ad un teatro che unisca le sue passioni: musica, danza, poesia e spiritualità. Da alcuni anni si dedica al suo progetto artistico – divulgativo audiovisivo Dante Reloaded.
Francesca Rita Rombolà conversa, per poesiaeletteratura.it, con l’attore Gualtiero Scola.
D – Gualtiero Scola si sente più un attore di cinema o di teatro?
R – Devo confessarti che da alcuni anni, volutamente, non mi pongo questa domanda. Ti ringrazio, però, per avermela posta perché questo mi permetterà, nelle prossime righe, di affrontare (brevemente) questo discorso, riflettendo e cercando di fare un punto del mio pensiero con me stesso e con voi su questo argomento, sul “definirsi” teatrale o televisivo come artista – attore. Da molti anni la maggioranza degli stimoli che un allievo attore riceve, dalle accademie a dai primissimi approcci lavorativi, lo portano a dover decidere subito in quale direzione indirizzare i suoi sforzi: se verso il cinema o verso il teatro, come se questi fossero due entità molto distinte, cosa che, in effetti è in parte vera, ma che non dovrebbe riguardare troppo gli attori, esattamente come avviene nella tradizione artistica anglosassone dove è normalissimo che un attore o un’attrice lavorino ad un doppiaggio al mattino, registrino una puntata di soap opera nel pomeriggio e la sera siano a teatro per interpretare uno spettacolo, magari anche scritto da loro … In Italia questa eventualità esiste, ma viene vista come una straordinaria eccezione a quei “Compartimenti stagni” che non dovrebbero proprio esistere. Le differenze tecniche nella recitazione teatrale, rispetto a quella cinematografica e a quella televisiva, andrebbero insegnate per quello che sono, tecniche appunto, e non come il naturale “destino” che, a seconda delle sue caratteristiche fisiche, ogni nuovo attore dovrà accettare:
Sei belloccio/a, ma non molto capace e preferibilmente sei superficiale? – Per te la televisione.
Non sei particolarmente prestante, ma sei colto, hai un’ottima voce e buona tecnica? – Per te il teatro.
Non hai un’ottima tecnica, ma riesci ad essere estremamente spontaneo ed empatico? – Per te il cinema.
Qualcuno, pochi, riescono a “miscelare” queste caratteristiche e a lavorare su più fronti. Naturalmente la mia è una provocazione. Ma, pur se in termini ironici, la situazione è grosso modo questa. E purtroppo questo indirizzo viene seguito anche da quasi tutti i direttori casting: gli attori vengono catalogati secondo “tipologie fisiche”. Un approccio che potrebbe sembrare ovvio per certi aspetti, ma che dimentica, colpevolmente, di guardare all’artista come … ad un artista, cioè ad un professionista che lavora alla creazione di un personaggio, indipendentemente dalle sue caratteristiche fisiche (nei limiti del possibile, naturalmente), esattamente come fa la vita. Purtroppo questo doversi adeguare ai diversi standard lavorativi e comunicativi dei vari settori dello spettacolo rischia di affossare il percorso di crescita artistica che ognuno dovrebbe essere libero di fare e verso il quale dovrebbe impegnarsi a fondo: quello di diventare un artista, appunto. E’ naturale, ad esempio, che un pianista approfondisca il suo stile verso il genere musicale che più lo attrae, ma se sceglierà di consacrarsi al jazz o alla musica classica dipenderà in grandissima parte dal suo estro artistico e da come questo estro entra in comunicazione con le dinamiche e le tecniche di un particolare genere. Lo stesso vale per i cantanti. Per gli attori questo, purtroppo, vale un pò meno … ma non riguarda l’arte … è un pregiudizio. Scusami per aver divagato … Posso dirti che per me il teatro rimane una sorta di “bene rifugio”, di continuo ritorno alle origini, anche perché artisticamente il teatro permette un maggior lavoro su se stessi in “autonomia”, mentre il cinema e la televisione prevedono un lavoro di squadra; se questa non c’è, o se alla squadra non interessa lavorare sul tuo personaggio, questo resterà secondario per quanto tu possa essere un bravo artista. In teatro si lavora su tre dimensioni e, pur con poche battute, sei in grado di “crearti” i tuoi primi piani e le tue soggettive. Al cinema la stessa scena, girata con obiettivi diversi, creerà una star o una comparsa.
D – E la fiction televisiva? Che esperienze hai vissuto nel partecipare a diverse fiction di successo?
R – La televisione ha rappresentato per me una grande scuola, una grande occasione di crescita professionale. Come dicevo prima, sei parte di un meccanismo che hai poche possibilità di manovrare. Ma comprendere questo meccanismo e scoprire le sue esigenze, e soprattutto accettarle, accoglierle con umiltà e intelligenza, rappresenta un’occasione di crescita, anche personale, enorme. Ho spesso discusso e difeso il lavoro televisivo, delle serie, delle soap, dalle facili critiche rivolte alla loro presunta superficialità. Dietro una soap opera, ad esempio, c’è un lavoro di organizzazione e comunicazione immenso e stimolante.
D – Come vedi la cultura in questi primi due decenni del ventunesimo secolo?
R – La cultura in questi ultimi venti anni è in trincea. E’ sotto attacco. Mi riferisco proprio alla cultura nel suo senso generale, primario, cioè un sapere umano che nasce dal coltivare i pensieri, dal prendersene cura, dal seminare nei propri pensieri idee e concetti al fine di farli crescere, di farli germogliare nella loro molteplicità. Tutto questo è diventato negli ultimi anni, direi a livello globale, anche se parliamo dell’Italia, nello specifico, “fuori moda”: ci viene sempre più spesso suggerito, dalle circostanze, spesso in maniera indiretta, ma ormai sempre più palesemente, di non pensare, di non coltivare pensieri che non abbiano una immediata funzionalità pratico – economica. La cultura, intesa come paziente semina e cura di concetti che verranno, che matureranno, è capitolata di fronte alla grande “trebbiatura”, dove esiste ed è degno di nota solo ciò che nell’immediato possa concretamente, e facilmente, costituire un guadagno, possa portare ad una monetizzazione (per chi poi?). Il resto è inutile, e viene additato come snob o, nel peggiore dei casi, come fuorviante rispetto all’indirizzo di quel “pensiero unico”, politically correct, che rappresenta il vero male dell’umanità del nuovo millennio. Coltivare il pensiero come esercizio della propria persona e della propria personalità è, in questo momento, considerato inutile quando non un poco … sovversivo. Cercare, poi, di ampliare una visione o dare luogo a nuove ricerche rasenta oggi l’utopia. Lo possiamo constatare nell’arte, nella letteratura come nella ricerca tecnica e medica, nella cultura umana in senso lato: siamo schiavi di ciò che è già stato detto e approvato, schiavi dei “protocolli” che, a dispetto dei loro limiti, a volte evidenti, sono però funzionali ad un sistema che si autoalimenta. Ogni epoca porta con sé le sue contraddizioni e i suoi errori, i suoi roghi in piazza, e ogni epoca ci restituisce, affinché noi li si possa riabilitare, i suoi pensatori, i suoi filosofi, scienziati, artisti totalmente incompresi e osteggiati da chi avrebbe dovuto invece accoglierli. Ciò che mi spaventa della nostra epoca è, però, la massiccia copertura mediatica e l’incondizionata presa popolare che una qualsiasi tesi può ottenere su un’eventuale altra tesi magari palesemente migliore ma meno monetizzabile nell’immediato, quindi meno “difendibile”. Nell’epoca del pensiero a distanza, dei social che, in teoria, avrebbero dovuto rappresentare una grande condivisione e un confronto di pensiero, siamo invece completamente “asocial”: la totale mancanza di contraddittorio, di confronto aperto è la norma. E nulla si può scrivere sui social se non litigando inutilmente. Mi capita di visionare on line delle interviste, o conferenze, che sono andate in onda sui canali televisivi negli anni ’70, ’80, fino ai ’90, e mi sorprendo per la complessità e la profondità delle argomentazioni culturali che venivano rivolte al grande pubblico non solo agli specialisti, segno evidente che anche il grande pubblico era considerato parte attiva nell’elaborazione di concetti oggi assolutamente impensabili e improponibili. Questo fenomeno riguarda tutte le sfere degli interessi umani. Provare per credere. Oggi la “tensione culturale” (non tanto le nozioni) esercitata dalla media dei divulgatori televisivi non supera facilmente il livello della scuola primaria. Come artista sono molto preoccupato e sono, dunque, “in trincea” … Mi rendo sempre più conto, d’altro canto, che il messaggio culturale, e in parte politico, di un artista debba debba passare dalla sua arte molto più che dalla protesta o contestazione dirette poiché, a differenza di queste ultime, l’Arte, in quanto concetto astratto, è più difficilmente manovrabile e più facilmente potrà parlare e, se necessario, “risvegliare” i cuori e i pensieri di chi da anni vive un appiattimento che rappresenta una regressione culturale con pochi precedenti. Arte, bellezza, ricerca della verità, cultura come beni da proteggere, come crescita dei propri pensieri e dell’ascolto del pensiero altrui. Cultura come frutto di quello che noi pensiamo in relazione a quello che ci succede e libertà di pensiero rispetto a quello che ci succede. Sono i temi essenziali per poter continuare il nostro cammino di evoluzione dell’umanità.
D – La tua formazione letteraria si ispira ai classici del passato, ad esempio, Alessandro Manzoni o Fedor Dostoevskij, oppure agli autori moderni e post – moderni cioè dal Novecento ad oggi?
R – Mi sono appassionato al teatro fin da bambino, dunque le mie letture sono sempre state filtrare da una visione teatrale del racconto, del romanzo o della poesia che leggevo. Filtrate dalla visione di una ipotetica “messa in scena” e dal suono stesso delle parole. Per cui, indipendentemente dal periodo storico, mi hanno sempre attratto quei lavori nei quali l’autore ha voluto “giocare” con il suono, con la metrica … Penso all’italianissimo endecasillabo, ma anche alla magnifica scrittura di William Shakespeare (in originale) dove, semplicemente leggendo, possiamo ben capire se a parlare è il re, un soldato o un servitore ascoltando il suono che le loro battute producono prima ancora del loro senso … fino ad arrivare agli esperimenti e alle provocazioni del Futurismo con lettere in libertà scritte in dimensioni differenti. Come si leggono? Come si accolgono? Con una recitazione futurista che, puntando al futuro che per definizione ancora non c’è, apre le porte ad un’avanguardia dalle infinite possibilità.
D – Cosa ne pensi della poesia e il tuo rapporto con la Poesia.
R – La Poesia rappresenta per me un preziosissimo spazio di ricerca interiore e spirituale. Amo quei poeti che lavorano sulla profondità di un concetto e riescono ad esprimerlo con semplicità. Come attore amo “sintonizzarmi” con la loro visione e ripercorrere le tappe ideali del loro pensiero per restituire, con altrettanta semplicità, una lettura, un’interpretazione …
D – I tuoi progetti artistici attuali e quelli futuri.
R – In questi mesi difficili, in cui i teatri sono stati chiusi per più di un anno, mi sono concentrato su diversi progetti artistici miei. Quello che mi ha assorbito maggiormente e al quale lavoro da diversi anni è Dante Reloaded, un mio progetto di lettura integrale ed interpretata della Divina Commedia di Dante Alighieri. Diversi anni fa mi accorsi di come sul web, pur essendoci centinaia di pagine dedicate a Dante Alighieri, fosse quasi impossibile fruire di una lettura completa della sua opera maggiore e di come le principali e frammentarie interpretazioni rese dagli artisti interpreti del teatro fossero solo quelle risalenti ormai a diversi anni or sono. Quindi, senza alcuna pretesa di rivaleggiare con i grandi maestri del passato, ho cominciato a lavorare ad una lettura interpretata che desse più risalto all’emotività del poeta, alle sue paure, ai suoi pensieri, con la speranza di avvicinare, a questa grandiosa opera, anche chi da essa è stato forse un pò impaurito. Ogni canto ha un video dedicato nel quale il testo a scorrimento accompagna la lettura. Ho scelto un font appositamente studiato per facilitare la lettura in caso di dislessia. I video sono realizzati da un grande video – artist che ha accolto questa mia sfida un pò folle e completamente auto-prodotta. il video – artist è Matthias Schnabel. Lo stesso progetto su Dante Alighieri vuole svilupparsi anche in altre direzioni: un lavoro audiovisivo dedicato alla lettura, nel suo senso più completo, in collaborazione con la ricercatrice Fabiola Giancotti, e un’installazione artificiale alla quale lavoro in collaborazione con Matthias Schnabel e un importante regista – coreografo Nikos Lagousakos. Inoltre, a parte Dante Alighieri, in questi mesi sono stato coinvolto in un ambizioso progetto di scrittura musicale al quale mi sto davvero appassionando e che spero possa concretizzare … Sono felice di potervi dare maggiori notizie fra un paio di mesi.
Francesca Rita Rombolà
Gualtiero Scola
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