Generalmente l’anarchia è sinonimo di rivoluzione. Di confusione. Di rivolta. Di caos. E politicamente, ma anche socialmente, è sinonimo di uno Stato senza leggi, senza regole, senza moderazione dove tutto è contro tutti e tutti sono contro tutto; la vita civile, la civiltà stessa, talvolta, risultano compromesse, mutilate o addirittura inesistenti. Nessuno rispetta più nessuno. Nessuno segue più una norma o una tradizione, una consuetudine o un modus vivendi e operandi. Non esiste più un’autorità di alcun tipo e nemmeno un qualche punto di riferimento intorno al quale orientarsi per gettare le basi di un qualcosa di realizzabile e per costruire un qualcosa di reale e di possibile per la comunità umana in sé. Il passato è obliato o volutamente rimosso da un inconscio collettivo oscuro e, allo stesso tempo, indefinibile; il futuro è un’ombra vaga senza fattezza alcuna fra oceani di nebbia immersi nella sfera autunnale, prigioniero in un blocco di ghiaccio secco la cui temperatura va alla deriva verso lo Zero Assoluto (- 273° K); il presente sembra quasi dilazionato all’infinito: non ha un inizio e non ha una fine, può rendersi manifesto in attimi inquieti e feroci come in secoli apatici e inflessibili concentrati in giorni vacui privi di dimensione. Si vive e si muore. Ma in realtà non si muore e non si vive. Uno spettro che fa paura si agita ovunque nelle coscienze e nelle strade con un ghigno malvagio e una strana maschera di bontà.
Ma nell’Arte non è così. Nel campo dell’Arte non è così. Soprattutto in poesia non è così. L’artista in generale, il poeta in particolare sanno che l’anarchia è fonte segreta inesauribile di creatività, sorgente limpida che veicola le sue acque impetuose e preziose nel fiume straordinario e vitale dell’immaginazione. L’anarchia allora è grido di dolore o di esultanza. E’ ruggito di rivolta interiore e di forza sovrumana che annienta ostacoli e spiana strade bloccate da troppo tempo. E’ perfino stile di vita terribile e meraviglioso insieme, folle e libero come l’aria al di là e al di fuori di ogni logica accettabile. L’anarchia è urlo. Urlo di libertà. L’urlo della libertà ritrovata o riconquistata. L’urlo della libertà nel suo elemento naturale ed eterno. L’anarchia è l’incontro cruciale sul percorso dell’esistenza del poeta, ciò che lo sollecita ad ascoltare il richiamo della poesia e, in seguito, lo inoltra nel mondo incantato e misterico dei suoi segreti. Non è caos. Non è confusione. Non è rivoluzione. E’ semplicemente e umilmente l’anarchia del poeta. E’ l’anarchia in poesia. E’ la vita che si rigenera sempre. E’ l’ideale. E’ la bellezza. E’ l’esistenza tumultuosa, silenziosa, feconda dell’Essere, indispensabile come l’aria e come l’acqua su un pianeta arido ancora in formazione o alla fine dei suoi giorni di uno scandire soltanto geologico. L’anarchia è quel qualcosa di ancor pur tuttavia vago che ha fatto dire di sé, al filosofo Noam Chomsky, queste parole: “L’anarchia è l’ideale ultimo al quale l’umanità deve avvicinarsi al più presto. La vera vita dell’uomo consiste nell’arte, nel pensiero e nell’amore, nella creazione e nella contemplazione della bellezza e della conoscenza scientifica del mondo”.
Incontro sul percorso dell’esistenza
Un giorno incontrai una donna
e proseguimmo insieme per il sentiero.
Parlavamo e ridevamo insieme.
Forse sì, eravamo diventate amiche.
Ci togliemmo quei quattro stracci di vestiti
e ci tuffammo nelle acque fresche di un fiume
per scrollarci di dosso
il sudore la polvere la fatica e la stanchezza.
Fu allora che la mia compagna di viaggio
mi disse il suo nome:
“Mi chiamo Anarchia, puoi continuare
la strada con me se vuoi”.
“Dove vai tu?” le chiesi.
“In nessun posto e in molti posti
diversi” mi rispose.
“Io invece aspetto qualcuno”.
Il mio sguardo la seguiva impassibile
mentre scompariva alla fine del precipizio sassoso.
Rimasi ad aspettare e a camminare,
ero convinta che l’avrei incontrata ancora.
Poesia tratta dalla silloge poetica “Alba, sul ponte sospeso” (1994) di Francesca Rita Rombolà
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