La creazione letteraria in Tibet è da sempre ricca e varia.
La Poesia, in Tibet, ha origini arcaiche (se non addirittura antidiluviane), perciò la sua produzione è davvero molto vasta. Mi limiterò a riportare, in sintesi, cenni essenziali affinché se ne possa intuire il concetto e la sublimità. I testi poetici di Dunhuang, ad esempio, sono tanto arcaici da essere ancora oggi poco conosciuti, soprattutto in Occidente, per cui tutto rimane vago e provvisorio in questo campo.
Mancando i procedimenti poetici abituali in altre tradizioni del mondo, cioè la rima o l’allitterazione, sono il ritmo e la struttura a conferire a questi testi la loro bellezza. La lingua tibetana si serve, in versi e in prosa poetica, di sillabe raddoppiate o di sillabe prive di significato lessicale ma è impiegata (un pò come onomatopee non finalizzate, però, a riprodurre un suono) per descrivere situazioni o aspetti particolari. Questa forma di espressione, in Tibet, si è conservata fino ai giorni nostri nell’epica e nei rituali destinati a divinità minori. Essa implica, ogni volta, una situazione emotiva o drammatica, ed è caratterizzata da un ritmo affannoso. E’ veramente una forma trascinante di espressione poetica la quale contempla una data espressione per situazioni diverse. Queste espressioni appaiono piuttosto delineate, grazie al contesto, nell’epica. E cosi, Kyi – lì – lì si usa per lo sguardo di una donna, l’arcobaleno e il fulmine; Kyru – ru – ru per risate o canti; Khyi – lì – lì per una burrasca e onde che si alzano; Khra – la – la per il suono degli zoccoli dei cavalli; Tha – ra – ra per le “nuvole” di guerrieri adunati e per il veleno; Mhe – re – re per una fitta folla, l’oceano, le stelle. Nei testi antichi e nei rituali moderni del Bsang, in cui tale rituale si è conservato, il ritmo rapido del verso è scandito dalla particella nì, sorta di cesura ripetuta sempre nella medesima posizione in ciascun verso, in genere per dare forte enfasi al soggetto logico.
Un esempio di poesia tibetana: “Più vicino, sì, sempre più vicino,/Yarpa, sì, è vicino il cielo,/stelle del cielo, sì, sì – lì – lì./Più vicino, sì, sempre più vicino,/Lakar, sì, alla roccia vicino,/stelle di roccia, sì, sì – lì – lì.
Dagli antichissimi testi poetici di Dunhuang, preparazione al rituale dell’immortalità nascosta della natura:
CANTO DI IMMORTALITA’
Anche se la terra si comprime e trema
E le montagne si spaccano
Kyi – lì -lì
Io canto
Anche se il suolo è pieno di voragini
Che marcano abissi e baratri sconosciuti
E tutto precipita e scompare
Khyi – lì – lì
Io canto
Anche se le torri crollano
Le case si accartocciano
I palazzi e le pagode
Sono ridotti in mucchi di detriti
Mhe – re – re
Io canto
Anche se la morte ha invaso
L’aria cristallina delle altitudini
Il dolore e la paura hanno colpito a fondo
Tha – ra – ra
Io canto
Anche se il mondo intorno a me
E’ disperazione i vivi piangono
Gli alberi e i fiori sono inerti
Tha – ra – ra
Io canto
Perché attraverso il canto io celebro
La vita e la morte
Le stelle e la rinascita senza fine
Mhe – re – re
Perché per mezzo del canto io celebro
Senza tempo e distanze
E rendo immortale ciò
Che in un istante e nel tumulto passa
Mhe – re – re
Francesca Rita Rombolà
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