Al centro della giustizia la persona umana. Dialogando con Angelo Lucarella giurista e scrittore

13 Ottobre 2021

Angelo Lucarella è uno scrittore e giurista. La sua grande passione per il diritto nasce nell’adolescenza, una passione che ha successivamente aperto la strada a ciò che è alla base di essa: il ragionamento politico da cui partoriscono le norme e nelle quali ultime risiede la filosofia giuridica. Angelo Lucarella, dopo la laurea in Giurisprudenza, conseguita presso l’Università degli Studi di Bari, ha iniziato direttamente la collaborazione con la commissione d’esame di Diritto Costituzionale. L’Università Federiciana lo ha reso destinatario dapprima della nomina a docente nell’ambito del Dipartimento studi di criminologia finanziaria, vittimologia e sicurezza mentre in seguito lo ha nominato docente e direttore del Dipartimento studi politici, costituzionali e tributari. Ha conseguito il master in diritto tributario e il master breve in diritto e processo penale. Fra i suoi libri pubblicati: “Dal contratto di governo al governo da contatto. Argomento ed analisi di politica e diritto (Aracne Editrice, 2020), “L’inedito politico – costituzionale del Contratto di Governo. Possibili scenari del potere, probabili effetti giuridici e la condizione attuale ordinamentale in relazione alla costituzione italiana” (Aracne Editrice, 2019), insieme ad Anna Monia Alfieri “Nessuno può definirci. A futura memoria (il tempo del coraggio). Analisi e riflessioni giuridiche sul Ddl Zan (Aracne Editrice, 2021) e in fase di pubblicazione per ottobre (Aracne Edizioni, 2021) “Draghi Vademecum. La fine del governo da contatto. Le sfide del Paese tra dinamiche politiche e districamenti sul fronte costituzionale”.

Francesca Rita Rombolà e Angelo Lucarella dialogano insieme.

d – Scrivere un libro è sempre una specie di dolorosa fatica per l’autore oppure, oltre a ciò, c’è un’intima soddisfazione che la sovrasta abbondantemente, come si suol dire, il piacere della scrittura ripaga di tutto ciò?

R – La scrittura, per come la interpreto io, la farei rientrare nella sfera del “quasi del tutto dolorosa” occupandomi prevalentemente di problemi politici, sociali, giuridici etc. D’altronde dolore deriva etimologicamente da qualcosa che affligge. Come può un autore, in particolare nel mio campo, essere appagato parlando di e analizzando ciò che affligge l’umanità, le società, le relazioni giuridiche, politiche, economiche? Non può esserlo intimamente. La ragione sta nel fatto per cui si scrive in chiave oggettiva o soggettiva (dato che prevalentemente tratto analisi politico – giuridiche), cioè in virtù della percezione delle sofferenze (altrui, sociali o proprie), delle storture, delle anomalie che si riscontrano nel quotidiano umano. No, quindi, non parlerei di soddisfazione. Almeno per me, si tratta di essere utile. Questo è, grossomodo, il discrimine. Direi che la soddisfazione è una grande utopia per uno studioso inquieto e appassionato. Forse è proprio questo, però, che mi spinge a scrivere: trasmettere cose nuove, sapere che qualcuno possa o potrà leggere e farsene un’idea o avere un punto di vista diverso dal sentire comune (specialmente se fondato sull’approssimazione) nonchè contribuire a coltivare spazi di libertà. Proprio in quest’ultima accezione ho rispolverato un antico termine per uno dei libri a cui sto lavorando: “colturazione”. Perché scrivere rappresenta un pò il senso della libertà nella vita politica. Ci si figuri per chi legge.

D – La società post – moderna per Angelo Lucarella scrittore e giurista.

R – La società post – moderna dice? Rischia di non vivere più bene le emozioni, le passioni, le connessioni. E’ un paradosso, ma sembrerebbe un trend senza soluzione di continuità: da una parte i social hanno agevolato il contatto dell’umano, ma dall’altra hanno irrigidito il contatto per l’umano. Chiaramente i social sono una delle componenti su cui va contestualizzata e vista la società post – moderna: non dimentichiamo la libertà di stampa disomogenea che si fa permeare (ed ingolosire aggiungerei) dalle varie gogne, la giustizia che non riesce a scremare guerre intestine, l’economia sempre più polarizzata tra ricchissimi e poverissimi etc. Come società abbiamo tanto su cui lavorare tenendo ferme almeno due direttrici: che il fine comune è l’umanità (“L’uomo”, come diceva Aldo Moro, in senso politico) e che l’umanità è il fine stesso della ricerca comune (e per questo, come dice il grande filosofo don Rocco D’Ambrosio, è funzionale il “cercasi un fine”). Non è un gioco di parole ma un tracciato sul quale occorre rielaborare le strutture normative, economiche etc. laddove vissute nella nostra attuale società con evidenti storture, derive etc. Non c’è tempo benchè sappiamo sia infinito.

D – Di tutti i suoi libri quale ha comportato per lei maggior impegno e una consapevolezza più ampia?

R – Ogni libro comprato, in realtà, propedentica al miglioramento. Senza dubbio, rispondendo con freschezza di ricordo, nell’ultimo periodo c’è “L’attesa della povera gente” di Giorgio La Pira che mi ha particolarmente impegnato sui contenuti, i passaggi logici, la visione di società e sulla ricerca spasmodica di soluzioni politiche per combattere la povertà e consentire l’accesso al lavoro. Cos’è la consapevolezza, lei mi chiede? Ecco, è una domanda che mi incuriosisce perché si collega benissimo al principio del fine. La consapevolezza è una sorta di henomènon greco: l’uomo, per l’uomo, all’uomo. Credo sia attendibile affermare, quindi, che avere una consapevolezza più ampia, in sostanza, significhi essere più persona nell’umanità perché se ne comprende la condizione dell’esistenza (o quantomeno ci si incammina infinitamente su una strada che tende ad offrire livelli crescenti di sapere).

D – Crede nell’utopia politica, in una società più inclusiva per tutti e in cui la giustizia sia la leva principale per il miglioramento e l’arricchimento interiore dell’uomo?

R – L’utopia politica è necessaria tanto quanto la pratica politica e il compromesso di effettività della ragione. In realtà la società è sempre imperfetta in qualcosa: lo sono sia la democrazia, sia i regimi, sia i sistemi di società ibridi o altro. L’utopia nasce in sé perfetta, ma non realizzabile nel pieno e nel concreto esistenziale. Il contrario dell’utopia è l’imperfetto, il realizzabile perché vero nella realtà sociale, quindi il pratico. Non a caso l’etimologia della parola utopia sta nel “non luogo”, ciò che non è perfetto (il luogo) poiché definito (non). Ciò che, invece, è luogo è appunto definibile (quindi non definito) e, perciò, sempre sottoposto a criticabilità, a messa in discussione. Ed allora l’utopia diventa il motore del “perché” il pratico debba esistere e muoversi nel quotidiano sociale ed umano per allenare l’uomo al sogno, alla scoperta, ai livelli crescenti di sapere ed al miglioramento della sua con – società. Attenzione, però, che non va confusa l’utopia determinata da bontà con altro ovvero il suo opposto. Può essere più inclusiva una società che faccia dell’utopia politica e della giustizia i principali perni dell’albero motore per l’arricchimento interiore dell’uomo? La giustizia è una fonte di utopia (ma non è tale), non si tocca con mano eppure è un luogo, esiste concettualmente perché è l’essenza di quel motore interiore delle persone che educa al senso di uguaglianza. Quest’ultima, al pari della giustizia, non si tocca con mano ma si percepisce ed è un luogo: è la persona umana. Mentre la giustizia, per essere fonte strumentale all’utopia (del bene), necessità del presupposto egualitario il quale non presuppone il diritto ma la ragione del compromesso, e cioè il riconoscimento reciproco al voler il bene dell’altro. E il bene si tocca con mano facendo il male (appunto). Questa è la differenza. Cos’è la pratica politica se non il compromesso effettivo della ragione tra le fonti di giustizia ed uguaglianza che, unendosi idealmente in un unico strumento, tendono all’universale? E’ in questo l’arricchimento per una società inclusiva, ma deve sapere (la società stessa) come decifrare l’utopia del bene da quella del male (ad esempio, i totalitarismi).

D – Ama la letteratura e la Poesia? Se sì, quali i suoi autori e i suoi poeti preferiti?

R – Se la Poesia è da considerarsi, per certi versi, una forma elevata di letteratura, allora potrei dire di essere un vero e proprio profano della materia. Battute a parte, facendo una sorta di distinguo tra le due cose, amo di più la letteratura (per come comunemente intesa) rispetto alla poesia. E’, chiaramente, più per un mio limite su quest’ultima perché mi sono avvicinato da pochissimo a questo mondo. Ho iniziato a leggere, negli ultimi mesi, autori pugliesi; per la precisione, poetesse della mia città d’origine Martina Franca: Tonia Scatigna, Simona Volpe e Rosa Maria Vinci le trovo eccezionali. Tornando alla letteratura (se distinta dalla poesia), il primo amore rimane Socrate. Nulla ha scritto, ma tutto è partito da lui. Quindi gli autori socratici sono quelli che più mi appassionano. Come autori contemporanei, invece, ci sono sicuramente Umberto Galimberti (non semplice da studiare ed illuminante come pochi) e Vittorino Andreoli (chiaro e diretto nelle sue opere).

Francesca Rita Rombolà

Angelo Lucarella

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