“Voglio un azzurro speciale. Un azzurro che vada oltre il colore reale che l’occhio riesce a percepire e a focalizzare. Voglio l’azzurro dei poeti!”.
Pare che Michelangelo Buonarroti dicesse queste parole quando dipingeva la Cappella Sistina e fosse preso dal dilemma del colore da dare al cielo del monumentale affresco. Il colore sì, l’azzurro certo, ma quale sfumatura di azzurro? Che particolarità di azzurro? L’azzurro della Cappella Sistina dire che è straordinario e meraviglioso è poco. E’ un azzurro divino. Sì, l’azzurro del Divino. L’azzurro preternaturale. L’azzurro edenico. L’azzurro dei poeti. Eppure Michelangelo non fu mai pienamente soddisfatto di questo azzurro ricercato e trovato con difficoltà. Per lui non era ancora il “divino azzurro”, l’azzurro che “l’occhio umano non riesce a percepire, a vedere, a mettere a fuoco materialmente”.
L’azzurro. Il colore azzurro. L’azzurro dei poeti. Che cos’è? E’ davvero un colore? Il colore azzurro, appunto? O non è piuttosto un concetto immaginifico? Una dimensione ancestrale perduta? Un archetipo? Una metafora della poesia come realtà che non appartiene al mondo, alla società, al calcolo, al raziocinio, al comune sentire? Sicuramente, e fin dai tempi più remoti.
Il cielo del pianeta terra è azzurro. I mari del pianeta terra sono azzurri. Cielo e mare talvolta confondono e mischiano la propria linea di orizzonte, e allora la loro fusione conduce l’immaginazione nei luoghi del sogno abitati dalle creature fantastiche di tutte le mitologie. Vista dallo spazio, la terra appare come una sfera azzurra quasi opalescente di una bellezza a dir poco straordinaria. Tuttavia tale azzurro è soltanto un pallido riflesso dell’azzurro dei poeti e della poesia. Il poeta può essere cieco, cioè non avere la vista materiale, ma vede l’azzurro: i suoi occhi percepiscono e vedono l’azzurro. Allora i suoi versi scaturiscono sicuri e sinceri nel varcare la soglia che li immette nell’Essere e nel suo ascolto. Come definire il “Divino Azzurro?”. Non credo esista una definizione precisa e corretta. Si pensi che l’azzurro dei poeti si frappone e si sovrappone, è presente e lo si percepisce anche nelle tenebre più fitte. E quando ci si è come “dissetati” alla sua fonte originaria lo si porta dentro (nell’anima, nel cuore, nella mente) come una specie di “oggetto magico” ricevuto in dono o come una capacità nascosta e misteriosa di scendere in profondità dentro abissi impossibili e di ascendere, in sublime armonia, verso cieli dei quali si può raccontare solo in visioni mistiche e feconde come pioggia dorata.
L’azzurro dei poeti è l’arcano della poesia. La Poesia ha, probabilmente, come sua propria dimora, un palazzo, un castello o un giardino azzurro nell’essenza, nella struttura, nel concetto, nell’esistere. E quando i poeti entrano nel suo interno si immergono in questo azzurro e ne escono rinnovati e trasfigurati, rinati e nuovi, puri come bambini, immortali come gli dei, umani e sovrumani meno degli uomini, più degli uomini e al pari degli uomini.
Un velo azzurro, fatto di luce e ombra, avvolge il corpo dei poeti al momento della morte, ma nessuno dei presenti lo ha mai visto o lo vede mai perché non visibile se non ad una sensibilità o ipersensibilità assoluta che va al di là di ogni norma stabilita. Un velo azzurro che la morte non strappa, non distrugge, non annienta anzi conserva e intensifica per riconciliarsi, ella stessa, con la vita e non essere, perciò, più temuta come nemica della bellezza e dell’incanto.
Ah l’azzurro dei poeti! Che il mondo sconvolto dalle guerre, dalla disperazione, dalla cupidigia, dalla sete di potere, dalla mancanza di spirito e di anima possa percepirlo e scorgerlo anche solo per un istante … in quell’istante avvisterebbe la dimora della poesia e non desidererebbe più, credo, niente del suo orrendo passato e null’altro per il proprio incerto futuro.
IL VERO AZZURRO
Dov’è il vero azzurro?
Non è nel mare
non è nel cielo,
oltre le tenebre e la luce
e ancora oltre
al di là della vita e della morte.
L’azzurro impossibile
che mai fu tolto ai poeti.
E’ stato per l’umanità
è e sarà
origine e fine.
Francesca Rita Rombolà
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