La poesia Nabati: una rosa purpurea nel deserto

9 Agosto 2022

Poesia del deserto. Poesia Nabati, o popolare. Poesia dal fascino esotico e indiscutibile. Poesia che viene da lontano, dal paese dei “Mille e una notte”, cioè dalla penisola arabica.

La poesia Nabati, o del deserto, cattura il lettore per il contenuto nostalgico e sentimentale che la pervade. Dopo un periodo di oblio, riceve nuovo impulso dal poeta siro – libanese Khayum – d – Kin az – Zarakli che, nel volume dal titolo “Ma ra itu wa ma sami tu” (Ciò che ho visto e sentito)), riporta alcuni esempi di poesia denominata “Al – Humayni” e spiega il significato di alcuni versi. Az – Zarakli divide la poesia beduina in due gruppi: “Al – Qarid”, metricamente e linguisticamente corretto, e “Al Humayni”. Il poeta ha compreso l’importanza della poesia beduina, anche se povera dal punto di vista grammaticale, ed afferma: “Il beduino tutt’ora nella poesia evoca le tracce antiche, descrive le nuvole e le montagne, esprime la sua nostalgia per l’amore, piange la separazione, compone elegie per la morte di una personalità o per esaltare un personaggio. Nella sua poesia si riconosce, perciò, lo spirito del poeta beduino che si dirigeva verso Ukaz oltre quattordici secoli fa”. Con questo scritto Az – Zarakli ha destato interesse verso questo tipo di letteratura beduina, o popolare, verso la poesia del deserto. Anche se all’inizio nessuno attribuiva importanza a tale genere poetico, negli anni Cinquanta del secolo scorso alcuni scrittori arabi cominciano a studiare tale poesia beduina; studi che si concretizzano nel 1958 con la pubblicazione di “Al – Adab as Sa bi fi gazirat al – Arab” (“Letteratura popolare nella penisola arabica” di Abdullah Ibn Khamis). Poiché, in passato, le scuole erano poche e rare nel Nord, in Higaz, in Ahsa, in Asir e nelle altre regioni della penisola arabica, prevaleva l’analfabetismo; l’insegnamento era affidato ai Katatib e alle poche scuole che insegnavano soltanto scienze religiose, lingua araba e aritmetica. Le più importanti di queste scuole erano: “Al – Fallah” alla Mecca; la scuola di “Shari’a” a Medina e “Al – Fallah” a Gedda. Per questa ragione era molto diffusa la poesia Nabati, o popolare, come viene definita nella penisola arabica, poesia molto in voga ancora oggi. Il poeta kuwaitiano Khalid al – Farag dice, a proposito:  “La più antica poesia Nabati giunta a noi, al di fuori di quella che riguarda Bani Hilal, risale al X – XI secolo dell’ Egira (XV – XVI secolo)”. Lo stile della poesia Nabati è simile a quello della poesia araba classica. Essa, infatti, inizia con An – Nasib e comprende l’elogio o la scusa e il fervore per passare, poi, allo scopo per cui è stata composta la poesia. Questo tipo di poesia ha la sua metrica e la rima ma, spesso, per rispettare la rima, la poesia perde di efficacia. Molti intellettuali arabi di oggi hanno difficoltà a recitarla, tuttavia essa è molto amata e diffusa, soprattutto nel deserto e nella campagna, anche fuori dalla penisola arabica. Chi legge questo genere di poesia rimane sorpreso per la ricchezza delle espressioni e la bellezza delle descrizioni, per la saggezza del contenuto e per il senso stesso che è molto simile alla poesia araba preislamica.

Non è strana, dunque, questa somiglianza in quanto essa è nata nello stesso ambiente in cui è sorta la poesia araba antica. Se si paragona una poesia letteraria, “colta”, composta nel settimo secolo da Maysun Bint Magdal al – Kalbi, moglie del primo califfo Ommaiyde Mu’awiah Ibn – an Sufian, e la poesia della poetessa beduina Salsa an – Naqmiyyah (XIX secolo), si nota che lo stile è simile, benché le separino dodici secoli. La prima esprime la sua nostalgia per il deserto: “Una tenda sbattuta dal vento/è più piacevole per me/di un palazzo grandioso”. La seconda sembra sospirare con un’esclamazione intensa: “Il cuore si sente soffocato/dalla casa di pietra che lo racchiude”. Nonostante la prima poetessa avesse scritto in lingua letteraria e la seconda in lingua parlata, il senso e lo stile sono uguali: entrambe soffrono per la mancanza di libertà che il deserto, invece, sa dare.

La poesia del deserto, o Nabati, è paragonabile a “una rosa purpurea nel deserto” (e la metafora non è azzardata) poiché erompe, come uno splendido fiore spontaneo (una rosa purpurea), dal petto di uomini e donne non colti, non letterati ma ricchi, dentro, di quella bellezza che nessuno può rubare o infangare perché patrimonio naturale del cuore umano semplice e nudo che gioisce o piange, si adegua o si ribella, per istinto, senza “addomesticamento culturale” che inibisce la grandiosità esplosiva e selvaggia dell’uomo il quale vuole solo esprimere, con immediatezza, tutta la propria interiorità.

Francesca Rita Rombolà

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