Juan Ramòn Jiménez (1888 – 1958) nacque nella regione spagnola dell’Andalusia ( nella città di Moguer). Ancora giovanissimo fu attratto dalla pittura e dalla poesie, che trattò sempre con uno spiccato gusto moderno e pienamente innovatore; coltissimo, alternò periodi di isolamento e di solitudine nel paese natale a viaggi in Europa e nelle Americhe. Allo scoppio della guerra civile spagnola, riparò in Portogallo, dove morì a San Juan.
La sua poesia riflette, in genere, motivi dello straordinario e colorato folklore andaluso, ed è caratterizzata da una purezza e una semplicità del linguaggio davvero sorprendenti e molto efficaci, che sanno cogliere anche le più sfuggenti e sottili vibrazioni dell’animo e da una intensa vena malinconica che da vita a dei versi talvolta opulenti e sontuosi e talaltra piuttosto lineari quanto marcatamente essenziali. Pochi anni prima di morire, cioè nel 1956, egli ricevette il Premio Nobel per la Letteratura.
Nella poesia “Ottobre” Juan Ramòn Jiménez sembra aver raggiunto, spiritualmente ed emotivamente, una calma e una serenità impensabili fino a pochi anni prima. La dolcezza della stagione autunnale dei paesi mediterranei accarezza con levità il suo cuore stanco e provato, donando sollievo ad uno sguardo profondo reso dolente dalle cruente battaglie di una vita non certo tranquilla e generosa.
Mentre nel tramonto castigliano un aratro ara lentamente i campi, per prepararli alla semina del periodo, e la mano aperta del contadino vi sparge i semi dei creali (il grano, in primis) simbolo di naturale e arcaica abbondanza e fertilità, il poeta, tormentato da pene amorose, vorrebbe seminare, in quei solchi tiepidi e soffici, il suo cuore sensibile per vedere poi a primavera se crescerà e fiorirà l’albero dell’amore eterno. “Ottobre” è principalmente una poesia d’amore sì in cui però, più che la passione amorosa espressa in termini decisamente retorici e barocchi, affascina la descrizione puntuale del paesaggio nel quale si diffonde, quasi per analogia metamorfica, una delicata quanto ancor vaga atmosfera autunnale che, trasfigurando sé stessa e chi riesce a percepire in profondità, si fa specchio rifrangente di un sentimento primordiale, e forse assoluto, anelante alla pace e alla serenità finalmente raggiunte da ciascun essere umano singolarmente e dall’intera umanità collettivamente.
Ottobre
Stavo sdraiato sulla calda terra, e laggiù
l’aperto paese castigliano,
che l’autunno avvolgeva nell’arcano
dorato del suo sole ad Occidente.
Lento, l’aratro, sicuro e lineare
schiudeva il buio solco, e la mano aperta
nel seno del campo con ampio gesto
spargeva il seme, alacremente.
Pensai di strapparmi il cuore, e lì gettarlo
colmo del suo soffrire alto e profondo
dentro il tenero terreno, nel calore
per vedere se, infranto, a seminarlo
la primavera disvelasse al mondo
l’albero puro dell’eterno amore.
Francesca Rita Rombolà
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