Presso le prime civiltà del bacino medio – orientale le donne portano un velo che copre loro il capo e parte del volto, lasciando scoperti gli occhi, la fronte, un poco degli zigomi. Si tratta quasi sempre di un velo sottile e talvolta trasparente. Lo indossano le donne del popolo, come quelle di alto lignaggio (principesse, regine, concubine reali, donne di corte ecc. ecc.). Così il velo diventa elemento di distinzione piuttosto particolare per la donna. Con il passare del tempo si trasformerà in un simbolo quasi sacrale, che giunge a sfiorare il Divino.
La donna velata è simbolo dell’Universo, della potenza del generare che ha in sé, quindi della vita; ma anche dell’oscurità notturna, del silenzio assoluto e delle tenebre portatrici di presenze ctonie e infere, quindi della morte e del potere che ella ha di esplicarla quasi al pari della vita. Il velo che copre il suo corpo la vela e, insieme, la rivela; conserva e, insieme, mostra al mondo il suo mistero e la protegge dal mondo, dalle sue insidie, dai suoi pericoli. Il velo e la donna hanno una valenza mistico – divina imprescindibile. Perciò il genere femminile è come una divinità in terra, che emana una forza e un potere benefico, e talvolta malefico: fonte di un potere enorme che irradia e attira sulla comunità ogni cosa possibile e fattibile.
Antichissime città – stato quali Ebla, Gerico, Ur, Gerusalemme, la Mecca, hanno della donna velata un concetto molto elevato e per niente negativo e deleterio, per cui la donna gode di una libertà, di una stima e di uno status sociale forse mai più raggiunte nel corso dei secoli futuri. L’affermarsi dell’Islam, quale religione ufficiale, nelle aree di queste remote e perdute civiltà mantiene quasi intatto tutto ciò che di concettuale, di formale o di tradizionale e di legato al costume riguarda il velo e la donna. Il profeta Maometto, nel Corano, non dice esplicitamente nulla di peggiorativo sull’argomento. Norme e precetti, restrinzioni o imposizioni in materia verranno più tardi tramite l’interpretazione, la formazione e la messa a punto di leggi e legislazioni complicate volute da giuristi pedanti e da esegeti delle sure coraniche che hanno “rivoltate” queste ultime da cima a fondo in ogni lettera e in ogni parola. L’Islam, nei secoli fino ad oggi, inasprirà sempre di più la questione fino a far diventare una specie di “schiavitù” o di “prigione” il velo per le donne di religione musulmana.
Oggigiorno, l’Occidente laico e materialista vede nella donna che indossa il velo, per lo più di fede musulmana, un qualcosa di arcaico, di superato e anche, in un certo senso, di ridicolo, un attentare quasi ai diritti acquisiti della donna, la mancanza di esprimere se stessa e la propria femminilità. Da una connotazione numinosa ed esaltante – dunque – per la donna, si è arrivati ad una sorta di demonizzazione della stessa. Il velo, forse, è una realtà speculare della donna, una specie di “corredo inconscio” che ella porta con sé fin da tempi davvero remotissimi. La donna occidentale, sofisticata, moderna e post – moderna, libera, senza pregiudizi e preconcetti, disinibita, ma anche manipolata, strumentalizzata, feticcio del sesso e della sfrenata società dei costumi, non sa ormai più che farsene di un velo (se non in sempre più rare occasioni di matrimonio sfarzoso in cui indossa ancora un abito da sposa con il lungo velo tradizionale), neanche di filigrana dorata, sexy e come capo di alta moda lanciato da qualche bizzarro stilista a caccia di stranezze da civiltà consumata e abusata.
Ma la donna, simbolo del mistero, del sacro, del divino, saprà riappropriarsi della bellezza, dell’incanto, della forza mistico – evocativa del velo?
Francesca Rita Rombolà
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