Muhammad Ibn Rusd, noto con il nome di Averroè, fu forse il più eminente filosofo arabo nel periodo medioevale. Egli nacque a Cordova nel 1126, nell’allora Spagna musulmana. Dopo una formazione completa in teologia, diritto, medicina, matematica, astronomia e filosofia, a partire dal 1169, spronato dal califfo almohade di Marrakesh, Abn Ya’qub Yusuf, intraprende una serie di commenti dell’opera di Aristotele. Nel 1182 diviene medico personale del califfo e, successivamente, viene da costui nominato cadì (ministro) di Cordova. Caduto in disgrazia, i suoi libri furono bruciati e divenne il bersaglio dei teologi e del popolo. Morì in Marocco nel 1198 poco dopo essere stato riabilitato dal califfo almohade. Ben presto verrà riconosciuto in tutto il mondo occidentale come il più importante filosofo ed erudita dell’epoca.
Averroè ha offerto, al pensiero arabo, la possibilità di un riscatto e di un cambiamento. Il ricambio – rinnovamento da lui proposto nella sfera del rapporto religione – filosofia è suscettibile oggi, nel ventunesimo secolo, di essere reinvestito per stabilire un dialogo fra la tradizione arabo – musulmana e il pensiero contemporaneo mondiale, dialogo che potrà dare, a codesta tradizione, l’autenticità e la contemporaneità a cui, in fondo, aspira da sempre.
Averroè ha proposto una comprensione “filosofica” della filosofia fondata esclusivamente sui principi e le intenzioni della filosofia. Consapevole dell’universalità e della storicità del sapere, Averroè definisce il modo di comportarsi di fronte alla “scienza degli antichi” che rappresentavano, nella sua epoca, la scienza per definizione. Questo metodo è degno di servire da modello. Lo si può riprendere di sicuro per definire il rapporto del pensiero arabo – islamico con la propria tradizione e il pensiero contemporaneo, distinguendo ciò che di universale vi è nell’una e nell’altro per arricchire ogni esperienza e ogni specifica visione del mondo. “Lo spirito averroista” può essere adattato alla nostra epoca in quanto è coerente a essa su più di un punto: il razionalismo, il realismo, il metodo assiomatico e l’approccio critico.
Alcuni intellettuali arabi, che sembrano aver stabilito con la cultura europea un rapporto più stretto di quello che intrattengono con la tradizione arabo – islamica, si sono chiesti come far assimilare, dal pensiero arabo, la conquista del liberalismo “prima o senza che il mondo arabo abbia raggiunto la fase del liberalismo”, dove per liberalismo si intende il sistema di pensiero costituitosi nei secoli XVII e XVIII e grazie al quale la borghesia europea in ascesa combatté le idee e i regimi feudali.
E’ questa la problematica che si pongono Abdallah Laroni, Zaki Nagib Mahmud, Magid Fakhri e altri, alcuni in una prospettiva francese e cartesiana, altri in una prospettiva empirista e positivista anglosassone; ciascuno quindi seguendo il suo specifico sistema di riferimento culturale e intellettuale. Ma forse è erroneo porre il problema in questi termini perché chiedendo agli arabi di assimilare il liberalismo europeo si chiede loro, di fatto, di incorporare alla loro coscienza un patrimonio di idee che è loro estraneo per i temi che solleva, per le problematiche che pone, per le lingue in cui si esprime e che non fa quindi parte della loro storia.
Lo spirito averroista può recuperare e reinvestire gli apporti razionalisti e liberali della sua tradizione nella lotta contro il preconcetto, l’oscurantismo, l’integralismo religioso, le dittature di ogni genere; con la ferma volontà di instaurare una Città della Ragione e della Giustizia e costruire, così, la Libera Città Araba in cui, finalmente, possa trionfare la democrazia.
Francesca Rita Rombolà
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