Il poeta e il labirinto immaginifico

6 Febbraio 2023

La Poesia, come l’amore, per sua natura appartiene alla sfera dell’indicibile. Come tutto ciò che ha a che fare con l’anima, con la dimensione più profonda e segreta dell’Essere, è vicina al mistero. E’ essa stessa mistero. E’ mistero inaudito. E’ mistero cosmico. Perciò si accompagna al silenzio, ed è imperscrutabile essenza del silenzio. Superare la barriera dell’inesprimibile, dare forma o corpo all’indicibile è impresa folle, quasi pienezza di “terrore panico” in cui solo i poeti si sono cimentati … e si cimentano da sempre. E’ un addentrarsi nel labirintico mondo dell’immaginale per cogliere le mille cangianti sfumature che il poeta trae dal silenzio per dar loro voce e parola.

In questo profondo, e spesso doloroso, viaggio misterico – iniziatico il poeta è il folle, il portatore e, insieme, il mediatore di quella “sacra e divina follia” per mezzo della quale si confronta con l’inesplicabile per far sì che tale esperienza misteriosa e sovvertitrice diventi suono, parola, canto. Nel labirinto in cui le multiformi realtà immaginali si dispiegano e tuttavia vagano come imprigionate la Poesia è il velo che cela e custodisce, innalza e separa, unisce e consacra; ma è soprattutto il “filo di Arianna” che guida il prigioniero,  guida l’errante verso la possibile uscita e dunque verso la libertà. Solo il linguaggio poetico, fra tutti i linguaggi, sa muoversi con destrezza e con familiarità all’interno del labirinto immaginifico. Schiva i perigliosi ostacoli e supera le terribili prove procedendo saldo, fermo, sicuro, impavido.

La follia del poeta è un qualcosa di divino, dunque, che ha in sé il germe dell’Altrove pronto a crescere e a svilupparsi nella scaturigine dei versi, nella sublimità delle assonanze, nell’alternanza armoniosa delle rime. E questa follia sacra fa del poeta il Teseo della parola che nel labirinto immaginifico segue il “suo” filo di Arianna fatto di sospiri e di scrittura viva, pulsante che scava ed erige, distrugge e costruisce, fatto di lacrime e di ispirazione dolorose ma talvolta anche gioiose, fatto di fluidità assoluta e di assoluto percepire.

Allora l’indicibile si fa dicibile, l’inesprimibile nomina le cose e le canta, il silenzio si trasforma in voce che crea, il tutto trasfigurantesi in apertura al mondo e alle sue infinite possibilità

Elis 2

Orme, un filo, una traccia che seguo intravisti nel buio.

i canopi sono fiori

Il fiore del canopo

E’ la gialla alba divenuta azzurra.

Dall’esile voce il gioiello

Si rinnova,

Un fragile sussurro delle foglie d’acanto.

Fragili rami

Nel fragile sogno,

L’acqua risplende

Dell’infranta bocca del ghiaccio.

Bocca, suggello

Di labbra dal roseo colore dell’eternità

Fu, come l’Eterno disteso nelle braccia

Fu, le membra di un’arpa

Dell’alabastro più fine

Fu, un caro dolore, l’Innato.

La lingua, chiave di tutte le porte

Un suono perduto che riapre

La porta distrutta

Quelle ciglia vibratili che perseguirono

Il dolce parlare

Di un flebile suono.

Fanciullo del travaglio interiore

Fanciullo nel fosco cullare

Dello spasimo solitario.

A molti rifulse nelle ombre

La sponda

La forma e la luce,

A quei molti e a ciascuno

Il dolore e l’azzurro aprirono il mare precluso.

Vieni con me, la pietra è mutata

In fluide lacrime

Il dolore in luce nella notte

L’azzurro nei tormenti estirpati.

Ad altri diede l’ascendere violento,

La fitta oscurità del brillamento possente.

Sul giaciglio del nero inverno

La primavera dorme sicura.

A me Eternità o Lutto: il Fanciullo.

Il tenero virgulto stilla un corpo incorrotto

Su di me

O fanciullo che oggi temeraria porto nel mio seno

Il seme vivente che lasciaste

Alla fertilità dell’unico giorno;

Tutti conoscemmo i dolori del parto

E amammo il frutto oscuro senza nome.

Pochi, molti e ancora meno

L’esile pianto nel buio lo udimmo.

Il grido predetto o il vento serale

Nel canneto dei flauti autunnali.

I folli trovarono il luogo.

O come vivido e morente sanguina

Il capo del mio fanciullo,

Fuoco infittito dell’odiata follia della stirpe.

Io per ultima invoco il mattino.

Poesia tratta dalla silloge poetica “Alba, sul ponte sospeso” (anno 1994) di Francesca Rita Rombolà

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