Fabrizio Bregoli, nato nel bresciano, risiede da vent’anni in Brianza. Laureato con lode in Ingegneria Elettronica, lavora nel settore delle telecomunicazioni. Da sempre si interessa di letteratura e poesia. Ha pubblicato alcune raccolte di poesie fra cui “Il senso della neve” (Puntoacapo, 2016 – Premio Rodolfo Valentino 2017); “Zero al quoto ” (Puntoacapo, 2018 – Premio Guido Gozzano 2018 e Premio Letterario Internazionale Indipendente 2018); “Notizie da Patmos” (La Vita Felice, 2019 – Premio Umbertide XXV Aprile e Premio Città di Chiaramonte Gulfi 2020). Sue opere sono incluse in “Lezioni di Poesia” (Arcipelago, 2015) di Tomaso Kemeny e in “iPoet Lunario in Versi 2018” (Lietocolle, 2018), sulle riviste “Il Segnale”; “Alla Bottega”; “Euterpe”, “Le Voci della Luna”, “Il Foglio Clandestino”, “Il sarto di Ulm” e in numerose altre antologie, e sui più noti blog di poesia. Ha inoltre realizzato, per i tipi di Pulcinoelefante, il libriccino d’arte “Grandi poeti” (2012) e per le Edizioni Fiori di Torchio la plaquette “Onora il padre” (Serégn de la memoria, 2019). Fabrizio Bregoli collabora con il blog “Poeti oggi”, per il quale cura la rubrica “Blocchi di partenza”, e fa parte della redazione del blog letterario “Laboratori Poesia” per il quale ha curato la rubrica “Poesia a confronto”. Il sito dedicato alla sua poesia è https://fabriziobregoli.com.
Francesca Rita Rombolà e Fabrizio Bregoli conversano intorno alla poesia.
D – Fabrizio Bregoli, perché questa sua grande passione per la Poesia? Cosa ha spinto (e cosa spinge) lei, laureato in Ingegneria Elettronica, a scrivere poesie?
R – Credo che non esistano spiegazioni possibili per le passioni che ciascuno di noi coltiva. In parte ci sono congenite, ossia nascono con noi, in parte crescono nel tempo grazie ad un processo di progressiva consapevolezza. La Poesia vive con me da sempre, fin dai miei primi anni, dal suo incontro a scuola, e il bisogno di frequentarla ha contribuito a rafforzarsi fino a diventare anche esigenza spontanea di entrare nel suo agone, cimentarsi nella scrittura. L’avvicinamento alla poesia è avvenuto per gradi attraverso la passione e lo studio, in un percorso che ancora considero in fieri, probabilmente un lavoro ininterrotto di confronto, di dialogo. Scrivo poesia perché lo sento connaturato al mio modo di essere, perché non posso farne a meno. La nostra società contemporanea consumistica e orientata alla “praxis” e al profitto, tende naturalmente a creare una compartimentazione stagna delle diverse discipline, una settorializzazione della cultura in nome della specializzazione e della cosìddetta “competenza”. In particolare, questo porta a creare steccati fra cultura umanistica e scientifica, ricerca teoretica e applicazione pratica, speculazione intellettuale e impiego tecnico o tecnologico: in realtà si tratta di un messaggio fuorviante, che costringe a limitare le potenzialità di ciascuno di noi. Non c’è nulla di singolare o di contraddittorio nel fatto che un uomo che, per professione, ha competenze tecniche possa fare poesia, anzi dalla commistione e dall’osmosi fra i due mondi (umanistico e tecnico – scientifico) può nascere nuova linfa, può originarsi quella ibridazione salutare e, a tratti, eversiva rispetto a certi cliché, che rappresenta un indiscusso valore, una novità forse. Per questo la mia ricerca poetica procede proprio lungo questa direttrice.
D – La raccolta di poesie che “sente”, “percepisce” di più e la sua fatica nel comporla.
R – Credo che ogni autore tenda ad identificarsi più facilmente e a sentirsi maggiormente rappresentato dal suo ultimo lavoro, sempre che questo abbia superato il vaglio personale della qualità e del valore della scrittura che ci si aspettava da sé. Quindi mi sento oggi maggiormente motivato verso la scrittura che è ancora in divenire rispetto a quella che ha raggiunto una sua forma compiuta, edita volendo. Limitando al campo delle pubblicazioni, a ciò che è disponibile per il lettore credo che il mio lavoro più completo sia l’ultima silloge edita “Notizie da Patmos” (La Vita Felice, 2019) in cui è presente un forte percorso, anche drammatico, di introspezione interiore, con una componente autobiografica irrisolta che riguarda il rapporto genitoriale, l’essere figlio. D’altronde non può nascere poesia senza conflitto, senza emersione di quelle contraddizioni, di quelle lacerazioni e di quelle ferite che sono la nostra cifra identitaria più vera. Un altro lavoro a cui sono molto legato è la silloge “Zero al quoto” (Puntoacapo, 2018) che completa, in un certo senso, il percorso tematico e stilistico di tutta la poesia precedente.
D – Fra i Premi Letterari di poesia che ha vinto, quale le ha dato maggiori soddisfazioni e perché.
R – Negli anni ho partecipato e ho ottenuto buoni riscontri in molti Premi Letterari, sia per l’edito sia per l’inedito. E’ naturale che questi risultati rappresentino una soddisfazione e un appagamento, anche se è bene non attribuire importanza eccessiva agli stessi: un premio di poesia è un momento di verifica e di confronto, di dialogo con la giuria, per avere qualche segnale sul cammino in corso, inevitabilmente imperfetto. Tutto va ridimensionato e circoscritto entro limiti ragionevoli in cui fondamentale resta sempre e solo la scrittura, il suo bisogno e la ricerca della qualità, mai il riconoscimento che ne può o meno derivare. Occorre sottrarsi all’ossessione della visibilità. Ciò premesso, ho sempre un ricordo molto vivo dei primi riconoscimenti ottenuti, per l’assoluta novità e sorpresa vissute, com’è naturale che sia per ogni esperienza che accade per la prima volta. Fra i vari riconoscimenti – per quanto ciascuno generi individualmente soddisfazione e meriti riconoscenza e per quanto non abbia molto senso fare una graduatoria degli stessi – mi sento di menzionare, con particolare affetto, il Premio Gozzano assegnato nel 2018 a “Zero al quoto” come libro di poesia edita; un traguardo senz’altro importante per la riconoscibilità e il valore attribuiti al premio stesso dagli addetti del settore.
D – L’Arte, secondo lei, è anche un buon antidoto a stili di vita diciamo scontati o troppo tronfii, oggi quasi normali nella società occidentale?
R – Come dicevo in precedenza, in relazione alla nostra società contemporanea, lo spazio riservato alle arti diventa sempre più ristretto o condizionato, se si eccettua naturalmente tutto ciò che, pur rientrando nell’ambito artistico, è comunque commercializzabile e impiegabile a scopi pratici. Questo fa parte della natura delle cose, dell’ordine intrinseco al nostro consorzio civile; inutile spendersi in censure o in forme di dissenso che rischiano di essere praticabili solo in astratto. Chi vive l’esperienza e il confronto con l’espressione artistica in modo disinteressato, sia esso un fruitore o un produttore della forma artistica, ha l’indubitabile vantaggio di attingere maggiormente all’autenticità e all’originalità, spesso scevri da condizionamenti esterni di tipo sociale, politico, commerciale o ideologico. Va riscoperto il nostro rapporto con la forma arte a partire dalle ragioni che ci inducono a conoscerla, a condividerla, a rispettarla, anche come reazione o rimedio a uno stile di vita e di comportamento che ci spossessa sempre più della nostra irriducibile personalità e individualità di soggetti liberi e non omologabili. Quando entriamo in simbiosi con espressioni artistiche davvero indipendenti e sincere ne usciamo arricchiti, quando invece ci adeguiamo a certi modelli culturali imposti dall’esterno ne risultiamo sopraffatti, sviliti. Serve allora consapevolezza e responsabilità, capacità nel saper distinguere.
D – La poesia ha ancora una funzione didattica e un messaggio da dare a tutti?
R – La Poesia è senz’altro un linguaggio universale e aperto a tutti; presuppone un certo livello di comunicabilità anche quando sembra escluderlo. Resta, tuttavia, fra le varie forme d’arte, una forma espressiva di nicchia: difficile a detta di molti; oggettivamente fruita da un insieme abbastanza ridotto di appassionati o esperti, non certo destinata ai “grandi numeri”. Forse proprio questo permette di preservarla, non banalizzarla, non renderla essa stessa succube della logica consumistica.In questo può esserci di insegnamento, di monito. Tuttavia diffido della poesia moraleggiante o edificante, rischia di suonare artefatta, se non falsa. Parlare di funzione didattica rischia, quindi, di essere fuorviante, stucchevole. Preferisco pensare a un’impostazione rigorosa della poesia, da intendersi come fedeltà a se stessa, alla sua coerenza, alla sua necessità. La Poesia è innanzitutto un baluardo a difesa del linguaggio, la più alta forma di espressione della nostra umanità. In questa condotta e perseveranza sta il vero ruolo di chi scrive che deve rispondere prima di tutto a se stesso, senza cercare facili compiacimenti o inseguire conferme o riscontri terzi.
Francesca Rita Rombolà
Fabrizio Bregoli
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