Rompo un silenzio durato più di un mese. Rompo oggi un silenzio nel cui tempo il dolore, lo shock emotivo e l’ineluttabilità di un lutto improvviso hanno dato spazio e una certa fermezza per una riflessione sulla morte e sul suo senso e sulla poesia che può essere chiarificatrice di questo recondito senso.
Talvolta in momenti di dolore grande e improvviso, come forse anche di gioia inaspettata, cerchiamo una risposta, se ci riesce, o almeno un qualcosa che vada oltre la superficie delle cose, a quel che ci è accaduto, che ci accade, che ci coinvolge e ci stravolge, ci afferra e ci consuma. Forse la Poesia, come sempre e come da sempre fa, può essere questa specie di risposta o questo qualcosa, strana pellicola sottile mai del tutto invisibile. C’è una poesia forse che adesso può rendere l’idea, la sensazione, la particolarità di questo tempo vissuto; forse i suoi versi iniziali, i versi che danno il titolo all’intero componimento sembrano voler comunicare ad ogni costo la loro possibile ermeneutica: “parlare”, “dire”, “additare” su un sentiero tortuoso e poco illuminato.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” sono forse i versi più conosciuti e più citati della famosa poesia di Cesare Pavese: titolo della poesia e della silloge poetica, che comprende dieci poesie (otto in italiano e due in inglese), scritte dal poeta fra l’11 marzo e il 10 aprile del 1950, e ritrovate fra gli appunti dopo la sua morte. Si sono versati fiumi d’inchiostro su questi versi, sono stati citati, recitati, incisi, scritti, apparsi praticamente in una quantità enorme di situazioni letterarie e non.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” – Dolce serenità del trapasso, di quel supremo istante fatidico che tutti vivremo scansionato nel tempo; la morte non porta terrore o spasimo estremo, e nei suoi occhi (occhi prettamente umani) forse gli occhi di un padre mai conosciuto che ci ha lasciati da piccolissimi per cercare lavoro e fortuna in una terra lontana e poter assicurare così una vita dignitosa e serena ai propri cari, forse gli occhi della donna amata fin dai teneri e lieti giorni dell’adolescenza e con la quale si è condivisa un’intera vita, nella gioia e nel dolore, nel bene e nel male, e che il Fato ci ha portato via forse ancora troppo presto; di questo padre e di questa donna amata che forse aspettano al limitare della radura dove le ombre tutte si aprono alla luce infinita; o gli occhi dell’amico, o del compagno di scuola, che ti chiama per giocare una partita al pallone ancora una volta come nei giorni speranzosi dell’infanzia e dell’adolescenza quando i giorni avevano un sapore dolce di semplicità e di novità.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” – Gli occhi sono lo specchio dell’anima e perciò non possono mai mentire, sai che negli occhi può esserci la luce o le tenebre. Un abisso di tenebre nascoste o un flusso irresistibile e palese di luce. Essi allora si fanno guida, sono psicopompo dell’anima che sta lasciando il corpo per raggiungere insondabili dimensioni dove ogni legge e consuetudine si annullano per sempre; sai che di quegli occhi ti puoi fidare: ti sorridono e ti accarezzano, ti prendono per mano e ti conducono, e anche se gli affetti più cari non ti sono vicini ed estranei tergono il tuo volto morente e stringono la tua mano quasi inerte non sei solo e abbandonato; niente più sarà poi così difficile da risultare insormontabile o impossibile.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” – Si è fatto silenzio intorno e cala lentamente il buio in una sera di aprile vissuta all’insegna della festa della Resurrezione, quel silenzio e quel buio metafisici che resteranno enigma e mistero per l’uomo… e i tuoi occhi mai così belli, così limpidi, così pieni di conforto, di fiducia, dove ogni traccia di ataviche paure si è dissipata, di assenso e di quiete come in questo momento. Sì ogni paura si scioglie come neve al sole. Ogni dolore si arresta all’improvviso come l’ombra sull’asse della meridiana a mezzogiorno. Ogni sofferenza scompare come i fantasmi notturni al primo raggio di sole mattutino. Ogni lamento, ogni gemito si acquietano sì come gocce infinite di pioggia asciugate dal vento caldo dell’estate mediterranea.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” – Ora tutto tace. Tutto è ritornato all’Origine. Fine e principio in fondo si equivalgono. La sera ha un barlume lontano di eternità, verso Occidente. Tutto si ricompone svelandosi e rivelandosi a un tempo.
Sì, la Poesia ha cantato ancora. Il Canto conserva ancora intatta la sua catarsi necessaria all’esistere, anche in tempi di macerie, di sconfitta, di volente o nolente oblio.
Di seguito l’intera poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese, datata 22 marzo 1950.
VERRA’ LA MORTE E AVRA’ I TUOI OCCHI
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Francesca Rita Rombolà
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