Il Potere è sovrano. Spesso e comunemente il potere politico. Ma diciamo meglio il potere in sé. Spesso è quasi onnipotente, addirittura apoteosi dell’incredibile. Il tiranno ha potere di vita e di morte sui propri sudditi, il dittatore (di destra, di sinistra, di qualunque colore e di qualunque appartenenza ideologica) impone con la forza bruta o con la coercizione sottile il proprio potere di decisione sulla vita e sulla morte delle persone (dei cittadini, che forse cittadini non sono ormai più). Nulla teme il Potere sulla terra. Nulla teme il tiranno. Nulla il dittatore. Ogni cosa gli si piega e può essere piegata al suo volere. Ogni essere vivente: pianta, animale, uomo, può essere assoggettato al suo volere. Egli crea, certo, mirabili opere. Costruisce e cambia. Edifica e, allo stesso tempo, annienta.
Eppure vi è un “qualcosa” o un “qualcuno” che sembra, da sempre, collocarsi in una specie di zona grigia, quasi una linea di confine incerta, seminascosta, ciò nonostante perfettamente tracciata e piuttosto visibile. Questo “qualcosa” o “qualcuno” è il poeta e il suo proprio canto. Da sempre, appunto, il poeta ha un rapporto decisamente ambivalente con il potente di turno sia egli imperatore, monarca, tiranno, dittatore e forse anche e perfino presidente di uno stato democratico ossia che assicura a tutti i cittadini le libertà e i diritti fondamentali e inalienabili dell’uomo; sì perché anche la democrazia non elimina affatto il senso pieno del potere in sé. Cerchiamo di capire, davvero in breve, come e perché.
Il potere costituito, sinonimo comunque di prestigio ( e di onnipotenza sì) per chi lo detiene, non teme davvero nulla e nessuno. Ma teme il poeta e il canto che dal suo ascolto inaudito e dal suo poetare sgorga, fluisce. Il poeta, a sua volta, è il solo, e spesso in solitudine e solitario, a non temere mai il potere costituito e le diverse e varie manifestazioni delle sue forme perché sa, consciamente o inconsciamente, che il suo ascolto del misterioso Dire Originario E’. Ed è al di là, è oltre, è al di sopra di tutto quel che esiste sulla terra, e in esso la vita e la morte non si escludono, anzi, si ritrovano dandosi la mano sopra quella corda oscillante che ha sotto di sé l’abisso.
Nel sentire, nel respirare, nel percepire ciò il poeta non può avere paura del potere, delle sue minacce o delle sue lusinghe, della sua violenza, delle sue abili astuzie, dell’ordine di esecuzione (di morte, di tortura, di esilio ecc. ecc.) che questi dispensa con facilità, con noncuranza e, sì, con ferocia; quindi non teme affatto di criticarlo, di osteggiarlo, di combatterlo anche. Questo il Potere lo sa. Lo ha sempre saputo, fin dalle prime civiltà. E lo saprà sempre, fino alla fine della civiltà. Perciò ha cercato, cerca e cercherà sempre in tutti i modi di far tacere il canto del poeta che scaturisce libero e puro dalla sua sorgente primeva ed eterna in quanto non si colloca né nello spazio né nel tempo.
Allora il Potere ha paura del poeta. Ma il poeta non ha paura del potere. Sembrerebbe quasi un enunciato semplice e banale … Però, da sempre, il poeta ha anche messo (mette e metterà) il proprio canto al servizio del potere costituito: del dittatore, del tiranno, dell’imperatore, del monarca, del presidente di uno stato democraticissimo, per esortarlo, per lodarlo, per immortalarlo conservandone e trasmettendone la memoria delle (sue) opere e delle gesta compiute per i posteri nei secoli e nei millenni che verranno … in fondo per motivi palesi o nascosti, latenti o in superficie, incomprensibili o comprensibilissimi.
Dunque, l’ambivalenza è reale, e talvolta appare chiara e ben delineata e marcata, mentre talaltra complessa e ambigua. Chissà se è un tantino azzardato concludere dicendo che il Potere ha paura e, allo stesso tempo, ha bisogno del poeta e che il poeta non teme, non ha bisogno e decide a proprio piacimento nei riguardi del potere? Forse no. Ma ci sarebbe tanto … davvero tanto da riflettere e da meditare, ma proprio tanto e tanto per rifletterci e per meditarci su.
DA UN ASCOLTO INAUDITO
La mia parola proviene
Da un ascolto inaudito,
E nulla puoi contro di me
Quando mostro al mondo
E alla Storia la tua crudeltà
La tua repressione della libertà
Il tuo infierire contro
La dignità umana e la vita,
La tua melliflua dolcezza e
La tua ipocrisia soprattutto.
Eppure posso cantare
Anche le tue grandiose imprese
E le tue mirabili e folli gesta
Come la tua apoteosi
E il tuo declino. La tua fine.
Sono un poeta,
E tu lo sai.
Per questo temi solamente
Il mio canto, e desideri
Brami soltanto il mio esaltarti.
Francesca Rita Rombolà
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