Muri di pietra. Muri di gomma. Muri di ghiaccio. Muri di cristallo. Muri di legno. Muri di sabbia. Muri di mattoni. Muri di acciaio. Muri invisibili fatti di aria o di etere, di omertà, di rancore, di invidia o di malvagità, di odio o di vanagloria, di egoismo o di perbenismo, di paura o di pregiudizio contro i quali spesso si va a sbattere inconsciamente e li si porta nell’anima come ferite piccole e dolorose forse per l’intero arco della propria esistenza.
Un muro davanti alla tua strada. Sul tuo cammino già tortuoso e difficile. Un muro alto o basso. Che separa e che divide. Un muro come una barriera. Che si snoda per kilometri in lunghezza e in larghezza. Attraverso lo spazio e il tempo. Un muro che ti impedisce di vedere. E forse perfino di morire quando lo desideri tanto.
Quanti muri nel nostro percorso esistenziale e nella storia dei popoli e delle nazioni. Muri di ogni genere. Di ogni tipo. Di ogni natura. Di ogni sostanza. Muri costruiti apposta. Talvolta per sbaglio o per ripicca. Talvolta per disprezzo o per protezione. Muri costruiti perfino per troppo amore o per eccessiva e inconscia morbosità.
E i giorni corrono e avanzano sempre. Se la Poesia è abbastanza forte, potente, tenace, costante. Se il suo ascolto è veritiero e sincero. Se il suo fuoco, il suo sacro fuoco, è rosso, tellurico, ardente e puro. Un sacro fuoco immortale che avvolge senza bruciare. E la sua ispirazione è abbastanza sincera e leale. Allora i muri possono essere abbattuti, distrutti, annientati. Nessun muro, per quanto alto, lungo, largo, possente, oltre lo spazio – tempo, potrà mai resisterle.
MURI
Quel muro che imprigiona l’anima
e impedisce al cuore di gioire
o di piangere, di amare
e fare dell’amore il sogno
rubato al cielo di primavera
e alle stelle della realtà.
Il muro che hai costruito
il muro che ho creato,
l’eco non è un suono
ma si sparge nell’infinito della percezione.
Ho creduto di morire
perché troppi muri
travolsero il mio cammino
verso la libertà,
migliaia avanzarono sulla terra
per cercare, e non si fermarono
davanti al sangue
e alla morte come davanti
al solido braccio
che strinse i corpi laceri e impavidi.
Dov’è la madre
che accoglie e che nutre
ogni vivente senza distinzione?
Si erigono muri
quando la paura è oscura
e non se ne conosce
la provenienza o il fine.
Quanto freddo che avvolge
le cose prime e ultime
al di là della neve
che copre i campi
e balugina nella notte,
quanto dolore nascosto
e ampi squarci di azzurro
silenzioso nel vento
che niente scompagina
o rende umile e perfetto.
Le voci non hanno parola
le menti non donano ascolto,
chi erige muri
più alti del cielo
non udrà mai
la voce dell’Universo
immane e inaudita radice
di ogni sorgente luminosa
portatrice della vita.
Il muro davanti a me
è roccia possente
che si sgretola nel vento
e si flette per iniziare
il nuovo giorno.
Oh alba che non splendi
aurora del poeta e del viandante
chi è l’uomo sofferente nella partenza
e nell’enigma di sé?
Verso la terra della sera
il sole declina,
muri in rovina chiamano
rovine su rovine
che l’oblìo non cancella
ma custodisce soltanto
finché il tempo del ritorno
non chiuderà il suo ciclo.
Muri minacciosi
puntellano i solchi della civiltà
là dove il canto ultimo
non giunge,
là dove il ditirambo ferito
non penetra più
e il peana della vittoria
risuona senza l’armonia del verso.
Ho cantato dietro ogni muro della Storia
inseguendoti, consapevole soltanto
della parola vera della lontananza
che sempre avvicina
il respiro dell’altro
ma il muro è umano respirare,
il fuoco che mi arde dentro
e mi consuma
ha abbattuto anche questo muro.
Francesca Rita Rombolà
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