La luna. Sempre splendida e meravigliosa nel cielo notturno dei tempi. La luna. L’unico satellite del pianeta terra. Che intorno al pianeta terra gira e compie il suo ciclo. La luna. Che brilla per la luce riflessa del sole, talvolta pallida, talvolta argentea, talaltra bianca, trasparente e spettrale. Corpo celeste sferico forse desertico e desolato. Forse senza vita. La luna. Amica e (perché no?) “braccio destro” dei poeti.
La luna e i poeti. Connubio antico e solido. Sodalizio totale e infinito. Non vi è poeta che non abbia contemplato la luna in notti dell’anima placide e serene e che non si sia rivolto alla luna in altrettante notti dell’anima tempestose e terribili, in un cielo dalla vastità schiacciante e inaudita, al di sopra di paesaggi irreali o surreali, collinari o montani, lacustri o campestri, marittimi e insulari. Alla luna il poeta racconta da sempre le sue pene e i suoi dolori, le sue speranze e le sue gioie. Alla luna da sempre il poeta parla intrattenendo un dialogo muto o percettibile appena, silenzioso o esuberante; e la luna lo ascolta parlandogli e sua volta (non è dato, credo, a chi la poesia non ama e non comprende almeno un pò, capire qualcosa di questo dialogo che si svolge nel linguaggio assoluto della poesia). Capolavori di sublime e indiscusso lirismo come, ad esempio, “Canto di un pastore errante dell’Asia” o “Il tramonto della luna” di Giacomo Leopardi o anche “O falce di luna calante” di Gabriele D’Annunzio, oppure i “Notturni” di Friederich Chopin, la cui musica ha pochi eguali nel suo campo per profondità, altezza e poeticità, non sarebbero mai venuti alla luce se i loro rispettivi autori non avessero avuto un rapporto “singolare e speciale” con la luna nelle loro notti più difficili o più straordinarie. Perché? Ci si domanda anche da sempre. Cosa ha mai la luna in sé o reca in sé? Forse niente. Davvero niente e praticamente niente. Ma la luna è succo vitale e linfa della poesia. E’ fucina invisibile ed eterea che ne alimenta il sacro fuoco. E’, in un certo qual senso, madrina del poetare. Oscuro varco dove il linguaggio poetico giunge per il superamento dell’io e l’inoltrarsi nei regni sconosciuti dell’inconscio come iniziazione ad esistere e soprattutto a morire.
E allora la faccia nascosta della luna potrà vincere ogni resistenza, umana o sovrumana, e mostrarsi. Mostrarsi nei versi poetici che scaturiscono floridi, lineari, irrorati di luce abbagliante o crepuscolare, brevi o lunghi ma comunque in essere come creature che “sentono” e “palpitano” sul foglio di carta bianco. Ci sono stati anche poeti che hanno urlato, a se stessi e al mondo, “uccidiamo il chiaro di luna”, primo fra tutti Filippo Tommaso Marinetti il maggior esponente del Movimento Futurista italiano. Ma, forse, è impossibile uccidere “il chiaro di luna” per un poeta o per un amante della poesia, anche se, a volte, lo si desidera tanto (all’inconscio non si comanda, come non si comanda alla luna là, alta o bassa nel cielo, compagna sicura e senza tempo delle notti dell’uomo).
Ad ogni modo, l’affabulazione fra il poeta e la luna sembra continuare … e forse continuerà anche in futuro. Fino a quando la Poesia non sarà morta. Definitivamente.
LUNA BLU DEI MISTERI
Bianca e diafana
al suo sorgere,
luna blu dei misteri
e delle rare occasioni.
Nei boschi e ancor prima
nelle immense foreste della terra,
portatrice della vita
e carezza che regola
ogni ciclo dei viventi,
il volto luminoso dei morti
è oggi oltre il tempo
trasfigurato nell’attimo del passaggio.
Lieto il viandante
volge sempre lo sguardo
al pallore lunare del poeta
protetto e imprigionato dall’ascolto.
Francesca Rita Rombolà
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