Il poeta Stefan George (1868 – 1933) ebbe una concezione quasi mistica della poesia, concezione che tende al sublime elevandosi, con latente ilarità, sulla passionalità della vita di ogni giorno. La sua poetica raggiunge un’alta perfezione formale, resa alquanto suggestiva per la musicalità misteriosa e per l’atmosfera incantata che riesce a creare.
Nella poesia “Vieni al parco sepolto” il poeta invita ad entrare in un parco già sopito nel letargo autunnale, dove il riflesso di spiagge lontane e calde (mediterranee o tropicali) e azzurre nubi illumina ogni sentiero piccolo o grande, nascosto o in vista ravvivando i colori, e ad ammirare la compiuta armonia di tinte che i fiori, le piante e gli alberi compongono con sfumature che hanno in sé tutte le tonalità proprie dell’autunno medio e tardo. La potenza catartica della poesia riesce a lenire ogni pena che pur persiste, ogni dolore che sottilmente consuma il cuore e i momenti dilatati dei giorni silenti e delle lunghe sere novembrine, e con il suo indiscusso afflato di evocazione colma il vuoto della psiche, rende fresca ed esuberante la triste malinconia del mese di novembre nostalgico e rammemorante di giorni altri e di vissuti più felici e più lievi … Nel ricordo di volti, di voci, di presenze care ormai scomparse.
Vieni al parco sepolto
Vieni al parco sepolto nel letargo
e percepisci: la risata cristallina di spiagge lontane,
l’azzurro delle nubi pure irraggia
all’improvviso i laghetti e ogni sentiero variegato.
Là cogli il greve giallo,
qui la betulla e il bosso ti donano il grigio;
il vento è mite e delicato:
le tarde rose un pò fiorite intreccia.
E gli ultimi degli asteri ricorda:
la porpora dei pampini selvatici
e di tutto quel che rimane ammira
come si accorda dolcemente nel volto dell’autunno.
Francesca Rita Rombolà
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