“Il giardino dei Finzi – Contini” è il romanzo più conosciuto dello scrittore Giorgio Bassani. Ha avuto una, diciamo, “incubazione molto lunga” in quanto un primo abbozzo risale al 1942, a venti anni prima cioè della pubblicazione del libro. La vicenda del romanzo ha un prologo, piuttosto efficace dal punto di vista letterario, la cui scena l’autore immagina sia avvenuta nel 1957 (molti anni dopo la fine della guerra e soprattutto degli avvenimenti narrati nel romanzo). Questo prologo serve proprio allo scrittore, nel narrare la visita ad una necropoli etrusca, ad andare indietro col pensiero e con i ricordi per rievocare altri morti “inghiottiti” dall’inesorabilità del momento storico terribile e particolare a un tempo per l’Italia e per l’Europa. Va, così, indietro nel tempo, col pensiero e con i sentimenti più profondi e brucianti della sua anima, alla sua giovinezza e alla sua terra: “a Ferrara e al cimitero ebraico posto in via Montebello”.Così l’io narrante inizia a parlare della famiglia ebrea dell’alta borghesia: i Finzi – Contini, residenti a Ferrara in un bellissimo palazzo isolato, con un antico giardino circondato da un muro di cinta, quasi come una sorta di protezione, o di isolamento, dal mondo esterno.
La storia abbraccia dieci anni, dal 1929 al 1939. L’io narrante ricorda allora quando era ragazzo, i primi incontri con i figli dei Finzi – Contini, Alberto e Micòl .. ma, a quei tempi, c’era un forte divario sociale fra lui e loro. La promulgazione delle leggi razziali contro gli ebrei (1938), in Italia, avvicina sempre più i tre giovani. I loro incontri si fanno, infatti, sempre più frequenti, anche con altri amici, specialmente nel vasto giardino dove, fra l’altro, c’è un bellissimo e moderno campo da tennis.
Avvolta da un’aura di mistero e di latente esotismo e bellezza, l’atmosfera di questo giardino fa quasi sempre da cornice, con la sua magia ammaliatrice, al sentimento di amicizia, e poi d’amore, dell’io narrante verso Micòl la quale, in realtà, si fa via via sempre più distaccata e irraggiungibile fino a svelare al giovane la sua decisione definitiva: ella non può essere legata a lui che dalla sola amicizia poiché non si sente portata per il matrimonio e l’inizio di una nuova famiglia; per lei l’amore duraturo, il legame matrimoniale “è un rapporto di tipo cruento (…), uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!”. Non senza sofferenza – dunque – e intenso dolore, il giovane rinuncia a Micòl. Si ritira. E non la cerca più. Una volta, però, verrà a conoscenza per caso degli incontri amorosi notturni di lei con un giovane ingegnere, Malnate. Ma ormai la Storia sta precipitando… con la distruzione di tutta la famiglia Finzi – Contini. Alberto, morendo nel 1942 per un male incurabile, è l’unico ad essere sepolto nella monumentale tomba di famiglia nel cimitero israelitico della città; tutti gli altri membri – Micòl, i genitori, la vecchia nonna, deportati nel 1943, – moriranno nei terribili e famigerati lager nazisti, in Germania. Anche l’ingegnere Malnate, partito con il Corpo di spedizione in Russia (sventurato e disgraziato e votato alla sconfitta e alla distruzione forse già prima ancora del combattimento reale nelle gelide lande della Russia), non farà più ritorno (sarà dato per disperso insieme alla maggior parte dei giovani che lo componevano).
Il romanzo “Il giardino dei Finzi – Contini”, che nel campo della narrativa italiana del Novecento rappresenta l’espressione migliore della tormentata visione esistenziale che Giorgio Bassani ha della vita e del mondo, è sapientemente costruito con grande impegno stilistico in una partecipazione davvero accorata alla tragedia degli eventi storici – la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, in primis, e ai tumulti segreti dei cuori nell’età più bella e più difficile della vita, ossia la prima giovinezza. Ciascun personaggio è messo su e descritto con mirabile maestrìa, ma su tutti il personaggio femminile di Micòl è di sicuro una delle figure più stupende e tragiche dell’intera letteratura del secolo scorso… forse per il suo fascino di creatura orgogliosa, sublime e sventurata, non molto dissimile dalle eroine dell’antica tragedia greca, sullo sfondo di un mondo effimero e crudele, che crolla sotto la cattiveria, la distruzione, la capacità di volere e di realizzare il male estremo degli uomini, perdendosi nell’oscurità della morte.
Francesca Rita Rombolà
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