Contro tutti i totalitarismi

10 Luglio 2024

Ismail Kadaré, il più importante scrittore albanese, nasce nel 1936 ad Argirocastro, nel sud dell’Albania e muore il 1 luglio 2024 a Tirana, la capitale. Perfeziona al’Istituto Gorki di Mosca, vivaio di scrittori e di critici letterari, gli studi iniziati alla Facoltà di Lettere di Tirana. Nel 1960, dopo “lo strappo” dell’Albania  dall’Unione Sovietica, rientra nel suo Paese dedicandosi al giornalismo e pubblicando con grande successo alcune raccolte di poesie. Nel 1963 da alle stampe il suo primo romanzo, “Il generale dell’armata morta” (dal quale è stato anche tratto un film di successo con l’attore italiano Marcello Mastroianni), viaggio grottesco nella follia della Seconda Guerra Mondiale, grazie al quale si afferma sulla scena letteraria anche oltre i confini albanesi. La sua fama si consolida negli anni Settanta e Ottanta con una serie di romanzi fra i quali “I tamburi della Pioggia”; “La città di pietra; “Il palazzo dei sogni”, straordinarie narrazioni epiche, allegorie della tragica storia albanese sempre lacerata tra l’Occidente e l’Oriente. Il regime comunista di Tirana esercita sulle sue opere una censura sempre più severa. Consapevole che “la dittatura è incompatibile con la letteratura”, Ismail Kadaré, nel 1990, sceglie l’esilio politico a Parigi, in Francia, e segue le vicissitudini e l’evoluzione del suo Paese, forte di una completa libertà di espressione. Durante la guerra in Kosovo, negli anni Novanta del secolo scorso, pubblica “Tre canti funebri per il Kosovo”, libro in cui risale alle origini del perenne conflitto fra i popoli balcanici. Le sue opere, sempre innovative e coraggiose, hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione del romanzo moderno albanese e nella letteratura europea in generale, nonché nella coscienza del suo popolo e di quella di tutti i popoli che lottano, e lotteranno sempre, contro tutti i totalitarismi, valendogli prestigiosi riconoscimenti internazionali e ben tre candidature al Premio Nobel, che non è mai arrivato, e purtroppo non arriverà più. Nel 2005 ad Ismail Kadaré verrà conferito il “Man Booker International Prize”, in qualità di “scrittore universale nella tradizione dei narratori che arrivano da Omero”.

Mi piace ricordare questo scrittore, morto da pochi giorni, per la sua tenacia nel voler narrare e narrare ancora la verità anche quando il Potere non tollera più la libertà, in tutti i sensi, dell’artista, la sua penna, spesso mordace, che inneggierà sempre alla fratellanza, a un mondo migliore per tutti, alla bellezza. Uno fra i suoi romanzi mi ha particolarmente colpito fin da quando l’ho letto, ragazza, negli anni Ottanta del secolo scorso, e cioè “I tamburi della pioggia” in cui l’autore narra la tentata conquista dell’Albania da parte dell’esercito turco ottomano, precisamente una delle prime spedizioni di conquista nell’anno 1443. Grande rilievo viene dato, certo, alla figura dell’eroe nazionale albanese Scanderbeg, che impavido e instancabile non cederà mai di fronte al soverchiante invasore; superba e impareggiabile la scrittura nello stile come nella forma, pur mantenendo sempre una linearità coerente ed efficace. Ma il paradosso, a mio parere, sottile quanto nascosto che si trasmuta in messaggio implicito eppure costante lungo tutta la narrazione, è il voler e il saper narrare le vicende dal punto di vista dell’invasore, mettendo in risalto la sua logica brutale di conquista, l’ostentazione della propria superiorità e numerica e in armi, il suo naturale e schietto non comprendere l’ostinazione di un piccolo popolo a non voler cedere al più forte e alla sua enorme e spaventosa macchina bellica. Ciò, forse, sta a dimostrare, ancora una volta, che l’essere umano, nella sua integrità, ha fini e scopi ben più alti da una parte (la libertà, l’identità di popolo e personale, le idee, i valori ecc. ecc.); la conquista, l’oppressione, l’imposizione di un qualcosa, la prevaricazione, l’uso del progresso per distruggere e uccidere, nella sua inadeguatezza dall’altra. Il tutto presentato come un’epopea che declama l’umiliazione del potente ad opera di un piccolo ma coraggioso e fiero Paese che non farà mai a meno della propria indipendenza.

Di seguito un brano tratto da “I tamburi della pioggia”  di Ismail Kadaré (Biblioteca Superpocket Edizioni, edizione 2005, pag. 211):

” ( … )Tutto han tentato contro di noi, dai cannoni giganteschi ai topi infetti. Noi abbiamo tenuto duro e teniamo duro. Sappiamo che questa resistenza ci costa caro e che dovremo pagarla ancora più caro. Ma bisogna pure che, sulla strada dell’orda demente, qualcuno si erga, e la Storia ha scelto noi. Il tempo ci ha posti al bivio: da una parte la via facile della sottomissione, dall’altra la via ardua, quella della lotta. Abbiamo scelto la seconda. Se avessimo pensato solo a noi avremmo potuto optare per la prima: avremmo avuto, così, la possibilità di terminare i nostri giorni in pace, accanto ai nostri aratri e all’ombra dei nostri ulivi. Ma una pace siffatta sarebbe equivalsa alla morte. La loro rabbia ha raggiunto il parossismo. L’ora del grande cimento sta per suonare. Il cielo si copre di nuvole: affluiscono da tutti i punti dell’orizzonte, impazienti di assistere a questa carneficina ( … )”.

Francesca Rita Rombolà

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