Nella voce del mare, eterna, selvaggia, il poeta bulgaro Georgi Sejtanov (1896 – 1925), che per i suoi sentimenti rivoluzionari e pacifisti dovette rifugiarsi all’estero per sfuggire alle persecuzioni della polizia del suo paese e che venne fucilato al momento del suo ritorno in patria, dove imperavano governi reazionari pronti a servirsi dei metodi repressivi più crudeli contro i democratici e i rivoluzionari, sente il tormento di una vita agitata da un’ansia perenne come di chi aspiri al sublime e all’eterno, caratteristiche proprie di qualunque poeta autentico. E’ un paesaggio sconvolto, tempestoso e, nello stesso tempo, amico quello che egli ci presenta nella poesia “Il mare”; in questo paesaggio, infatti, il poeta, eroe della lotta contro la dittatura, vede e “sente” l’immagine del suo stesso animo tormentato anelante agli ideali più alti, tenace nel portare se stesso e la società verso un mondo migliore al quale soltanto i più generosi e i più sinceri aspirano.
Dal mare molti venti nascono e sul mare possono liberamente scatenarsi. Le onde alte e tempestose sembrano al poeta fiammate e la loro spuma il guizzo di un fulmine. Il mare è bello e meraviglioso in ogni stagione dell’anno, dona sollievo e riposo nei momenti più giocosi del tempo libero; il mare è vastità di orizzonti e di vedute per quanti aspirano ad una libertà indefinita e indefinibile sempre sognata e mai forse raggiunta del tutto; il mare è speranza e fuga, partenza irrinunciabile e arrivo mai sicuro e certo; il mare è spesso naufragio, morte, dolore, non – ritorno, perdita di affetti, di cose materiali e immateriali; il mare è vastità quando mare e cielo si confondono e si mischiano, lontano da una terraferma soltanto immaginaria o prettamente reale; il mare è tempesta, tumulto e quiete spesso proprio ciò che i sentimenti manifestano in momenti cruciali e indelebili della vita; il mare è una spiaggia, piccola o grande, deserta o affollata, liscia o frastagliata di scogli sulla quale si cammina e si tace guardando l’alba o il tramonto, si corre o si siede stringendo fra le dita una sabbia mai veramente amica e mai completamente ostile; il mare può essere amato o odiato, senza tuttavia pensare che non sia parte integrante degli uomini e dei popoli fin dagli albori della civiltà. Da sempre il navigante percepisce il mare come forza oscura, ctonia, notturna che apre l’inconscio, singolo o collettivo, verso mondi e dimensioni altre, verso il sogno o l’incubo, ma che insieme dona istanti infiniti di serenità, di gioia, di cambiamento come di profonda nostalgia e di latente tristezza. Il mare… l’eterna, selvaggia voce del mare, che può sussurrare o urlare, mormorare o fremere, ululare o ruggire, sospirare o disquisire, parlare e parlare, anche cantare la sua nenia o il suo inno… e continuare ad essere sempre l’eterna, selvaggia voce del mare.
Il mare
Mare amico, nido dei venti
eterno tumulto di fuoco e di schiuma
rabbiosa, guizzante, balenante
come fulmine sulla terra,
sulla tua spiaggia attendo l’alba
prigioniero della tua voce di tempesta:
porto nel mio cuore il tuo canto selvaggio
e il tuo perenne invito verso i cieli.
Francesca Rita Rombolà
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