La Romania trae la sua origine dall’antica Dacia, che fu eretta in provincia romana dall’imperatore Traiano nel 107 d. C. I romani occuparono la regione soltanto per un secolo e mezzo (107 – 274), ma questo fu sufficiente perché la popolazione locale, amalgamatasi con veterani e coloni, si sentisse spiritualmente appartenente all’area della civiltà latina e preservasse nei secoli, nonostante la secolare dominazione turca, le invadenze russe, l’influsso del mondo greco – ortodosso, una lingua prettamente neo – latina o “romanza”, incrinata ma non snaturata dall’apporto di vocaboli appartenenti al lessico di popolazioni cui essa fu soggetta o con cui venne in contatto, come gli slavi del nord, gli albanesi, gli ungheresi, i turchi ottomani. Ancora oggi, dopo tante vicissitudini storiche, lo spirito di autonomia dei romeni e l’originalità della loro cultura sono testimonianza sicura di un orgoglio nazionale spiccato e di una tradizione che ha radici assai remote nei secoli. Nella prima metà dell’Ottocento la letteratura romena, che si configura, anche per le ragioni cui ho accennato, assai più complessa e più vicina al mondo occidentale di altre letterature balcanico – danubiane, fu caratterizzata da forme di notevole romanticismo, non senza altrettanto notevoli influenze della cultura francese cui si sovrapposero successivamente forti influssi della filosofia e della letteratura tedesche.
Il più grande poeta romeno, Mihail Eminescu (1850 – 1889), nella poesia “Notte estiva”, crea una lirica sognante e affascinante nella sua purezza espressiva. Egli si formò alla grande scuola dei pensatori tedeschi, soprattutto sulla filosofia di Arthur Schopenhauer, che corroborò la sua già naturale inclinazione al pessimismo, e tuttavia non mancò di esaltare romanticamente, con animo incantato e con vivo trasporto sentimentale, il fascino della sua terra, il valore delle schiette manifestazioni dell’anima popolare, la bellezza delle leggende folkloristiche, rielaborate in dignitosi e raffinati poemetti narrativi.
Nelle zone d’ombra, non raggiunte dal raggio lunare, il bosco assume tinte cupe e brunastre, mentre là dove batte la luna tutto si inargenta: l’erba è come neve e i fiori azzurri brillano nell’aria colma di profumi balsamici e puri. Splendido ed efficace è il richiamo classicheggiante alle Ninfe, cioè alle graziose divinità greco – romane che, secondo la mitologia, abitavano fra le cortecce degli alberi (le ninfe Driadi), che non disturba l’atmosfera tipicamente romantica di questo luminoso “notturno”. Il luogo è selvaggio e incantato sì: l’intrico della selva d’argento si unisce alle fonti cristalline che luccicano tra le pietre, mentre in onde rapide e sinuose danno respiro a se stesse e ai fiori; in dolce trotto scendono, quasi fossero cavalli liberi e selvatici, dai dirupi costieri saltando in spruzzi improvvisi sulle rocce e disperdendosi nella vastità dove, ancora e sempre, la luna si insinua con la sua luce diafana. Tutto allora diventa azzurro per mezzo del canto, dalle farfalle agli sciami di api, alle danze delle mosche metafora di popoli e di tradizioni, all’acqua, alle rocce, agli stessi sussurri, sospiri e voci onomatopeiche di una natura in festa e per la stagione e per il canto incontenibile del poeta, e tutto viene così trasfigurato, ancora una volta, dalla potenza della poesia, unica realtà e alternativa possibili allo sfacelo interiore e umano dell’uomo e del suo mondo.
Notte estiva
Se passi i boschi di rame, tu vedrai di lontano
un altro bosco d’argento al vento sussurrare.
Ivi accanto alla sorgente l’erba sembra di neve,
fiori azzurri di rugiada brillano nell’aria imbalsamata.
Sembra che i tronchi nascondano secolari ninfe sotto la scorza,
che sospirano fra i rami con le loro voci d’incantesimo,
e, tra il poetico intrico della selva d’argento,
vedi fonti cristalline in fra le pietre luccicare.
Scorrono fresche in rapide onde e sospirano tra i fiori,
mentre in dolce trotto scendono dai dirupi della costa,
saltano in fluidi spruzzi sulle rocce del loro letto
poi si allargano in bacini su cui la luna si riflette.
Mille farfalle azzurre, mille biondi sciami d’api
scorrono, lucidi ruscelli, sui fiori stillanti miele
e riempiono l’aria estiva di profumo e di freschezza,
le sussurranti danze di un popolo di mosche.
Francesca Rita Rombolà
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