Isaac Emmauilovic Babel (1894 – 1941), scrittore russo, uno dei più popolari della letteratura dell’era sovietica in Russia, caduto, ad un certo momento, in disgrazia presso il regime sovietico ai tempi di Stalin. Figlio di genitori ebrei, compiuti gli studi in una scuola commerciale, lesse e approfondì i classici russi e francesi. Iniziò a S. Pietroburgo la sua carriera di scrittore pubblicando, a partire dal 1915, i suoi primi racconti sulla rivista “Annals” dello scrittore Maksim Gorkij.
Isaac Babel condusse una vita avventurosa e piena di contraddizioni. Militò nell’Armata Imperiale, nelle forze rivoluzionarie nella guerra civile e tra le fila della polizia segreta. Le sue esperienze militari, perciò, gli ispirarono racconti popolati di soldati nostalgici della vita civile (l’esempio più importante, dal punto di vista letterario, è il suo romanzo famoso “L’armata a cavallo” del 1923 – 25) oppure popolati di commercianti ebraici e gente del popolo, semplice ma anche caustica, da lui sempre narrati in ironici racconti nel colorito dialetto di Odessa, la sua città natale ( “I racconti di Odessa”, 1923 – 24). Il realismo delle sue storie di guerra fu aspramente criticato dal regime, quasi fosse una diffamazione degli eroi russi. Per questo divenne vittima dello stalinismo, delle sue “purghe” terribili degli intellettuali considerati “nocivi” per il regime e il suo trionfo nel Paese negli fatali (anni ’30 del Novecento) del suo consolidamento. Accusato di “trotzkismo” (cioè di apertura rivoluzionaria al mondo e non autarchica) nel 1937, venne mandato in un campo di concentramento (il tristemente famoso gulag) in Siberia dove venne fucilato nel 1941.
Isaac Babel è considerato uno scrittore originale e autentico forse, proprio e principalmente, in virtù della vita avventurosa, segnata da contraddizioni talvolta perfino incomprensibili, che visse pienamente. Spirito inquieto certo, votato alla perenne ricerca di una giustizia e sociale e umana e alla tenace volontà di un riscatto da dolorose condizioni ataviche dei ceti sociali più umili e più umiliati, per mezzo dei suoi scritti veicolò tale messaggio non solo alla Russia ma al mondo intero. Nello scrittore come nell’uomo vi è una sorta di “inconscia nostalgia” per una vita felice e libera forse mai veramente vissuta dall’uomo e forse solamente sognata dagli uomini. In fondo egli si batté per uno Stato che desse finalmente libertà a tutti, indistintamente, e una vita più decorosa e più dignitosa improntata alla cultura, alla conoscenza distruttrice del più bieco oscurantismo, alla fratellanza … e per questo fu imprigionato, soffrì e venne condannato a morte. Dalle sue pagine letterarie traspare una poeticità sottile e sfumata da toni a volte anche accesi e brillanti. Il suo essere tutto, quando scrive, riflette una “tensione” intensa che dona alle parole e alle frasi una atemporalità forte e sicura, pur utilizzando il verbo al presente nella descrizione sollecita da “diario di guerra”.
Di seguito un brano tratto da “L’armata a cavallo” di Isaac Babel, capitolo I, “Il guado dello Zbruc”, pag. 1, Fabbri Editori, 2000.
“( … ) Campi di papaveri scarlatti fioriscono intorno a noi: il vento di mezzogiorno scherza fra la segale gialla, e il granturco virginale sale all’orizzonte come le mura di un monastero lontano. Il quieto Volinia si piega, fugge via da noi nella bruma perlacea dei boschetti di betulle, si infiltra tra le floride colline e con le braccia stanche si avvolge fra le malerbe del luppolo. Un sole arancione rotola giù per il cielo come una testa tagliata, una luce tenera si accende nelle crepe delle nuvole e gli stendardi del tramonto sventolano sulle nostre teste. L’odore del sangue di ieri e dei cavalli uccisi gocciola nella frescura vespertina. Il nereggiante Zbrc rumoreggia ed attorciglia i gorghi schiumosi delle sue cascate. I ponti sono distrutti, e passiamo il fiume a guado. Una luna maestosa giace sulle onde. I cavalli affondano nell’acqua fino al dorso, e torrentelli sonori sgusciano fra centinaia di garretti equini ( … ).”
Francesca Rita Rombolà
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