Daniel Defoe (1670 – 1731) è lo scrittore che rappresenta l’inglese borghese dissidente del XVII secolo (la parola “dissidente” indica, in realtà, l’appartenenza ad una setta protestante non conformista, il ché avveniva soprattutto fra la classe mercantile inglese). La carriera notevolmente movimentata di Daniel Defoe abbraccia attività e progetti commerciali diversi, oltre a numerose imprese giornalistiche e incarichi anche di agente segreto svolti per conto del governo. Nel 1697 egli pubblico un “Essay on projects” (Saggio sui progetti) in cui avanzava un numero straordinario di proposte di ordine pratico, fra le quali una società intesa a “incoraggiare una cultura raffinata, a levigare e affinare la lingua inglese, a far progredire l’arte tanto trascurata dell’espressione corretta, a ripulire la lingua dalle aggiunte irregolari che vi sono state portate dall’ignoranza e dall’affettazione”. Proponeva anche di istituire un’accademia per le donne poiché diceva: “Io ho spesso pensato che fosse uno dei più barbari costumi del mondo il negare alle donne i vantaggi della cultura.” Nel 1701 Daniel Defoe pubblicò una satira in versi, “The true – born Englishman” (L’inglese autentico) in cui analizzava le composite origini del popolo inglese, a suo parere “una razza indefinibile ed eterogenea derivata da tutte le nazioni del mondo”. L’opera successiva fu un pamphlet dal titolo “The shortest way with the dissenters” (Il metodo più sbrigativo per farla finita con i dissidenti), nel 1702, in cui si scagliava contro l’atteggiamento dei tories (gruppo conservatore del parlamento inglese) anglicani nei confronti dei dissidenti, suggerendo ironicamente provvedimenti persecutivi radicali da adottare nei loro confronti. L’ironia, come Daniel Defoe doveva scoprire a proprie spese, è un’arma pericolosa per il giornalista, lo scrittore, il poeta di ogni età storica; sia i tories che i dissidenti “presero l’opera alla lettera”, cosìcché egli si trovò attaccato da ambedue le parti.
Per un certo tempo Daniel Defoe lavorò – dunque – nell’ombra al servizio di diversi ministri whig (gruppo progressista del parlamento inglese), ma le difficoltà incontrate in queste attività si dimostrarono alla fine eccessive per cui Daniel Defoe volse il proprio talento di scrittore alla narrativa scrivendo il suo primo, e famosissimo, romanzo “Robinson Crusoe”, nel 1719, quando aveva ormai quasi sessant’anni. Daniel Defoe aveva già dato prova delle proprie doti di giornalista e di osservatore in un gran numero di opere, ma “Robinson Crusoe”, scritto quasi distrattamente, per puro scopo di lucro, rivelava qualcosa di più: la capacità di organizzare e di presentare i particolari narrativi per esprimere una visione del rapporto fra uomo e natura che scaturiva da un atteggiamento verso la vita profondamente radicato nella nascente borghesia inglese. Il romanzo, raccontato in prima persona come una narrazione autobiografica reale, ci presenta il mercante naufragato sull’isola deserta che si sforza di ricostruire – nel proprio remoto isolamento – l’intera struttura di quella civiltà materiale e morale che egli si è lasciata alle spalle, e nel far ciò egli riesce ad aggiungere una suggestione tutta pre – romantica (o forse di già romantica) di tipo nuovo alle quotidiane necessità dell’esistenza. Ognuna delle comodità del vivere civile è qui strappata alla natura, e questa lotta conferisce loro un valore e una dignità nuovi. Il personaggio del romanzo si mette in viaggio da mercante per guadagnare denaro ed aumentare, così, le proprie comodità materiali e, allorché si trova su un’isola deserta, il suo solo scopo diviene quello di ricreare al meglio almeno una minima parte della civiltà borghese – materiale che si è lasciato alle spalle; egli non è un avventuriero che va per mare in cerca di avventure ma un mercante serio e avveduto impegnato in un’impresa commerciale, e si può dire che rappresenti il primo esempio significativo di “eroe prudente” della letteratura inglese, infatti il buon senso e la cautela in lui non sono mai contrapposti ad una romantica stravaganza, e perciò non appaino mai meschine o comiche.
Il successo incontrato da “Robinson Crusoe” indusse Daniel Defoe a scrivere altri romanzi, presentandoli ancora come fedeli resoconti di fatti avvenuti a persone reali piuttosto che come opere di pura fantasia. La sua produzione letteraria comprende “Captain Singleton” (Il capitano Singleton, 1720); “Moll Flanders” e “Colonel Jack”, apparsi nel 1722; “Roxana” (1724) e “Captain George Carlton” (1728). Nel 1722, inoltre, pubblicò il “Journal of the plague year” (Diario dell’anno della peste), descrizione minuziosamente realistica della grande pestilenza del 1665 presentata come diario di un sellaio londinese. Daniel Defoe fu romanziere quasi senza volerlo. La sua intenzione era quella di ridurre tutta la letteratura a giornalismo, di raccontare cose inventate come se fossero resoconti destinati alla stampa, e la sua narrativa rivela, con chiarezza, come gli sviluppi del romanzo in quel periodo, in Inghilterra, fossero legati alla mentalità e alle esigenze letterarie dell’ascendente borghesia del paese (non per nulla Daniel Defoe è chiamato “il padre del romanzo inglese”). La grandezza, la fama, il successo nei decenni e nei secoli (migliaia di ristampe e traduzioni in tutte le lingue del pianeta, innumerevoli produzioni cinematografiche e televisive) di “Robinson Crusoe” sono forse di natura accidentale, e tuttavia questo romanzo non rappresenta solo la prima estesa invenzione narrativa in prosa, scritta nello stile semplice, espositivo del primo Settecento inglese, è anche il primo romanzo popolare inglese con caratteri distinti dai racconti romanzeschi, dalle leggende, dall’allegoria e da altre varietà narrative; il primo romanzo in cui l’autore ci presenta come eroe un uomo che cerca “salvezza e agi” anziché la gloria, che non si prefigge una finalità ideale ma un obiettivo il cui valore è intrinsecamente materiale.
Francesca Rita Rombolà
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