Gaio Valerio Catullo (Verona, 84 a. C. – Roma, 54 a. C.) fu un poeta latino. Le sue liriche d’amore, famosissime, rappresentano il primo esempio di letteratura latina in grado di esprimere l’intensità delle passioni amorose sul modello greco – ellenistico della poesia di Saffo, Nosside, Callimaco e degli Alessandrini. Diverse furono le donne da lui amate, sventurati e tragici i suoi amori; eppure Catullo seppe sempre cantare l’amore, la sua sublimità, la sua forza, la sua importanza per il genere umano e per la Natura tutta. Egli amò e amò, nonostante la cattiva sorte e la palese avversità del Fato, e volle esprimere la sua gioia e il suo dolore insieme con la Poesia … ben sapendo che soltanto questa avrebbe, al di là della fama effimera e della gloria passeggera, sottratto all’oblio inaudito del tempo il proprio vissuto e il proprio sentire. Lesbia è il nome più ricorrente fra le donne amate da Catullo, e proprio a questa è dedicata una delle sue liriche più conosciute (riportata in basso), che ha sfidato i secoli e i millenni, indenne da critiche e da incomprensioni di ogni genere, conservando la sua freschezza originale, a conferma, per l’ennesima volta, di come soltanto la Poesia riesca ad immortalare ciò che gli uomini compiono, realizzano, sognano.
Densi, profondi, intensi sono i versi; struggente e accorato “l’appello” del poeta, veicolo quasi di un’urgenza che non si placa fino al raggiungimento del prefissato. Conscio egli riconosce i pericoli e le paure legate all’incidenza del tempo, agli attimi che vanno colti e trattenuti per preservare l’innocenza, la purezza, l’ascolto del mondo con tutto quello che ha in sé di male e di bene; scevro dal dubbio che la breve luce della vita e l’eternità dell’amore, rese vitali dal soffio della Poesia, possono entrare sicuri “nell’interminabile notte” della morte.
Godiamoci la vita, Lesbia mia,
e i piaceri d’amore;
a tutti i rimproveri dei vecchi,
moralisti anche troppo,
non diamo il valore di un solo soldo.
Il sole sì che tramonta e risorge;
noi, quando è tramontata
la luce breve della vita,
dobbiamo dormire
una sola interminabile notte.
Dammi mille baci e poi cento,
poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente
ancora mille e altri cento ancora;
infine, quando ne avremo
sommate le molte migliaia,
altereremo i conti
o per non tirare il bilancio
o perché qualche maligno
non ci possa
lanciare il malocchio,
quando sappia
l’ammontare dei baci.
Francesca Rita Rombolà
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