“(…) Il principio della vita politica è nell’autorità sovrana. Il potere legislativo è il cuore dello Stato, il potere esecutivo ne è il cervello, che da il movimento a tutte le parti. Il cervello può essere colpito da paralisi e l’individuo vivere ancora. Un uomo resta imbecille e vivo: ma non appena il cuore ha cessato di funzionare, l’animale è morto. Non è per mezzo delle leggi che lo Stato sussiste, ma per mezzo del potere legislativo. La legge di ieri non obbliga oggi: ma dal silenzio si desume il tacito consenso, e si suppone che il capo sovrano confermi continuamente le leggi che, pur potendo abrogare, non abroga.(…) Ecco perché, anziché indebolirsi, le leggi acquistano continuamente una nuova forza in ogni Stato ben costituito; il pregiudizio dell’antichità le rende ogni giorno più venerabili; mentre l’invecchiarsi delle leggi con il passare del tempo, dovunque si verifichi, prova che non vi è più potere legislativo, e che lo Stato non vive più.”
Da “IL CONTRATTO SOCIALE” Libro terzo, cap.XI, “Della morte del corpo politico.”
Jean Jacques Rousseau
IL CONTRATTO SOCIALE, opera fra le più importanti e le più conosciute del pensatore e pedagogista francese Jean Jacques Rousseau (1712 – 1778). Con quest’opera Jean Jacques Rousseau si è reso subito celebre a causa di una critica della vita sociale la cui novità non è sfuggita a nessuno, ma della quale non sono stati ben colti nè il senso nè la portata. Per quel che riguarda i tempi odierni, credo che IL CONTRATTO SOCIALE sia da rileggere e da riscoprire sotto una luce diversa e in un’ottica del tutto nuova. Ci troviamo a vivere in piena era globale in cui il tutto domina le parti, l’universale domina sul particolare; tra luoghi nuovi e nuovi detentori del potere si disperde, infatti, l’attributo principale della personalità giuridico – politica dello Stato che lo rende “istanza originaria, indipendente e suprema!” La sovranità, grande illusione del secolo scorso, diventa, così, la grande illusione di fine millennio, lo scudo protettivo di uno Stato che, privo delle sue fondamenta, della sua autorità, si trasforma in “non – Stato”, in mero elemento costitutivo di una realtà in continua evoluzione. Intaccata l’essenza stessa di “Stato”, questo vecchio re senza più scettro di un regno che perde di continuo i propri confini, sempre meno artefice e sempre più vittima di un destino che gli sfugge di mano, si destruttura e si sfalda avviandosi verso un lento e forse inesorabile declino, che solleva parecchi dubbi sulla sua capacità di assorbire la crisi attuale e stimola soluzioni nuove ai problemi posti dalla società e dalla Storia. Questo processo di lenta ma continua erosione, il quale sembra scandire la crisi dello Stato odierno e del costituzionalismo che lo ha generato, inizia storicamente con la perdita del sistema economico da parte dello Stato. L’esaurimento costante dell’economia nazionale e il sorgere di economie dall’esterno, con un indice piuttosto elevato di dipendenza dal sistema economico mondiale, spezza la congiuntura storico – economica tra territorio dello Stato e mercato, privando così lo Stato di un vasto ambito di intervento. L’esperienza contraddittoria e forse non breve delle costituzioni del Novecento, iniziata con la riappropriazione dell’economia da parte della politica, sembra si stia chiudendo sulla scia di uno Stato sempre meno sovrano e sempre più spettatore inerme, quasi diapason contorto dei grandi processi decisionali in economia, che si aprono oltre quelli che sono le sue frontiere geo – politiche e che, in maniera vertiginosa e spesso incomprensibile, tendono a “scivolargli di mano” con il loro movimento dinamico e a sovrastarlo quasi con la loro vasta portata, limitandone infine la capacità di pianificazione e rendendo incerti i suoi processi di decisione. Lo Stato della fine del ventesimo e dell’inizio del ventunesimo secolo, nato proprio per governare l’economia, finisce per piegarsi, invece, ironia della Storia o del Destino, esattamente e inesorabilmente in realtà alle esigenze dell’economia, alle sue tendenze, ai suoi meccanismi oscuri e di potere, alle sue forze; meccanismi oscuri e di potere, forse vari e abnormi che, sommandosi, unendosi e crescendo determinano la crisi dello Stato sovrano e, insieme ad esso, anche la frammentazione – frantumazione, di conseguenza, della democrazia, delle sue istituzioni e delle sue leggi. Cosa ci riserva, allora, il futuro neanche molto lontano o forse quello più immediato? Sempre ne IL CONTRATTO SOCIALE Jean Jacques Rousseau scrive: << Dopo aver fissato i veri principi del diritto politico e aver cercato di fondare lo Stato sulla sua base, lo si dovrebbe consolidare con le sue relazioni estere, ciò che comprenderebbe il diritto delle genti, il commercio, il diritto di guerra e le conquiste, il diritto pubblico, le leghe, i negoziati, i trattati ecc. ecc. Ma tutto ciò costituisce un nuovo argomento troppo ampio per la mia corta vista: anzi meglio avrei fatto a non spingermi tanto in là con lo sguardo >>. Conclusione, in un certo senso amara, priva di facili illusioni, di entusiasmi gratuiti quanto umanamente giusta e alquanto sibillina. E pensare che Jean Jacques Rousseau visse e scrisse le sue opere molto prima della Rivoluzione francese, evento che scosse alle fondamenta e cambiò la concezione dello Strato nella mente dei governanti e dei popoli e gettò le nuove basi per la costruzione dello Stato moderno.
Francesca Rita Rombolà
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