“(…) In una situazione in cui domina la fede nell’impossibilità di una qualsiasi verità definitiva, ciò che decide lo scontro tra le diverse fedi di cui quella fede dominante è cosciente non è la loro verità incontrovertibile – giacché esse sono fedi, proprio perché non sono verità incontrovertibili – ma è la loro forza pratica, cioè, da un lato, la loro forza di persuasione, dall’altro lato la capacità del loro contenuto di persuadere che esso consente il dominio sulle altre fedi (…)”.
Brano tratto dal saggio LA TENDENZA FONDAMENTALE DEL NOSTRO TEMPO di Emanuele Severino
Emanuele Severino, filosofo fra i maggiori e più originali, si preoccupa di capire, di riscontrare, di intravedere o focalizzare il momento storico particolare che stiamo vivendo. Il suo pensiero si fa attento e acuto specialmente nel delineare le cause e i possibili effetti che mutano o possono mutare la società, la politica, la cultura in genere. Il suo modo di indagare diventa profondo nel momento in cui si volge alle origini del pensiero umano per presentare la verità sull’essere, la vita, la realtà umana e quella naturale. Fra le sue opere più significative e discusse rientra, a pieno titolo, LA TENDENZA FONDAMENTALE DEL NOSTRO TEMPO. Come riportato nel brano su menzionato, Emanuele Severino sembra aver individuato che, in fondo, “la tendenza fondamentale del nostro tempo” si situa nel dominio di una fede (dove per fede è intesa una componente prettamente desacralizzata o materiale) che emerge dallo “scontro” con altre fedi quando una base metafisica o storicizzata è ormai impossibile quale verità in un mondo che smarrisce di continuo la propria identità. La forza, diciamo così, pratica di tale fede, insieme al suo enorme potere di persuasione, consente il dominio incontrastato sul mondo. Forse, a questa fede, risponde, più che mai, l’accostamento o addirittura l’identificazione con l’odierna realtà dei massa – media, in poche parole, con tutto quel che concerne i mezzi di comunicazione di massa e, fra di essi, soprattutto la televisione. Mezzo di comunicazione di massa, cioè che abbraccia e si rivolge ad un numero quasi illimitato di persone, la televisione nasce dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e si colloca, fin da subito, in quella categoria di invenzioni che modificano la cultura e la società in maniera profonda e imprevedibile, tanto da ritenere oggi con sicurezza che, bene o male, non si può fare a meno della televisione come mezzo di diffusione in genere e di guardare la televisione da parte dell’uomo come specie vivente. La maggior parte degli adulti pare guardi la televisione “per divertimento”. La maggior parte dei bambini, pur trovandola divertente, guarda la televisione perché cerca di capire il mondo. Molti adulti considerano la televisione significativa oppure no, e la guardano con quella che a volte si definisce “sospensione dell’incredulità”, cioè essi accettano l’allontanamento dalla raffigurazione realistica e, secondo le premesse del programma, capiscono perché un dato personaggio vola per aria, diventa invisibile o compie azioni sovrumane; infatti, uno spettacolo di fiction non deve essere per forza reale o vero. Invece i bambini, pur apprezzando gli aspetti di intrattenimento della televisione, hanno difficoltà, causa la loro limitata comprensione del mondo, a discernere la realtà dalla finzione. Perciò sono più vulnerabili, in tal senso, degli adulti. Ma la televisione in sé? Cos’è o cosa è diventata? La tv moderna, del post- moderno o al di là del post – moderno mostra, in fondo, di avere un unico obiettivo: vendere merci; per cui è o è diventata, col passare degli anni e dei decenni, fondamentalmente uno strumento commerciale. I suoi valori sono i valori del mercato. La sua struttura e i suoi contenuti rispecchiano tale obiettivo. Ma c’è un’altra componente primaria forse più deleteria che sfocia anche nel pericoloso: il contenuto spettacolare dei programmi televisivi è straordinariamente violento. Alcune volte la crudezza dei reportage trasmessi dalla tv risponde ai bisogni di una sorta di morbosità di comunicazione, o anche contribuisce a una certa assuefazione, alla formazione di un pensiero consolatorio (specialmente nel mondo occidentale, il cosiddetto “primo mondo”) che “quella cosa a noi non può accadere” o che comunque accade perché è un fenomeno irrimediabile. I mass – media, e in particolare la televisione, “ci invitano” a ritenere che le sofferenze, le disgrazie rappresentate sono troppo grandi, ineluttabili ed epiche perché si possa pensare di modificarne il corso con “interventi politici mirati”. La drammatizzazione televisiva non ha motivo di occuparsi della realtà. Se quel che attrae l’attenzione è distorcere la realtà, allora vi sarà distorsione. Scopo primario della televisione, anche di quella sua parte che si definisce “istruttiva”, è conquistare l’audience. Anche se la tv istruttiva per lo più non si occupa di vendere prodotti commerciali, essa compete però con la tv commerciale per l’attenzione del pubblico, dei telespettatori. La tentazione di fare spettacolo è prioritaria quando l’unica preoccupazione è l’audience. Ecco allora che la spettacolarizzazione, la stravaganza, l’emozione forte, i primi piani shockanti ma anche la semplificazione, il voyerismo e il pettegolezzo vengono usati a piene mani per catturare lo spettatore, viziarlo, coccolarlo e non consentire che faccia zapping e cambi canale (si pensi, ad esempio, alla sigla musicale di inizio e fine di un telegiornale, sia della tv di Stato come di quella privata, martellante,drammatica o frenetica e al modo di leggere il sommario delle notizie principali da parte dello speaker: in sintonia con la musica! Il tutto ben miscelato per creare l’effetto – sorpresa o l’effetto – bomba, e colpire sempre di più, più a fondo e in gran quantità). Non è, infatti, la qualità degli spettatori che interessa ma la quantità. E per catturare una grossa fetta di pubblico bisogna offrire messaggi semplici, palpabili, emozioni improvvise e irresistibili: emozioni che possano essere percepite soprattutto dal pubblico che non ama leggere, che non ha gusti e preferenze precise, che ha esigenze elementari e vuole farsi intrattenere senza impegnarsi. Sono anche spettatori che seguono volentieri le mode, le tendenze del momento, che rispondono meglio alla pubblicità. L’influenza della televisione dipende da due fattori: l’esposizione e i contenuti. Quanto maggiore è l’esposizione dello spettatore allo spettacolo televisivo, tanto maggiore è, generalmente, l’influenza da esso esercitata e, in una certa misura, la natura di tale influenza sarà determinata dai contenuti. Tuttavia, l’esposizione a volte basta da sola ad influenzare lo spettatore, indipendentemente dai contenuti. Spesso le immagini sono manipolate e manovrate dalla televisione per i propri scopi e in particolare per orientare il pubblico verso le scelte anche politiche che intende sostenere (esempio lampante: i molti talk – show e le “tavole rotonde” durante le campagne elettorali prima della data delle elezioni). Si può forse, a questo punto, affermare che il “mondo”, la “civiltà”, la “tendenza” creata dai mass – media, in modo del tutto speciale dalla televisione, è quella di dissolvere l’individuo nel banale conformismo di comportamenti, linguaggi e giudizi stereotipati e rilevare allora un aspetto molto importante: la voce di chi non ha accesso al mezzo di comunicazione di massa, al mondo dei mass – media resta inaudita, nel duplice senso di non ascoltata o di inaccettabile per la sua eccentricità, quasi esiliata o relegata in una specie di “zona grigia” dalla quale non può e non riesce ad uscire (l’attenzione smodata e quasi abnorme che viene concessa da televisioni e giornali ai vip, cioè ad attori e attrici, cantanti, uomini politici, campioni dello sport, personaggi insomma più o meno di successo diventati molto conosciuti, “pubblici”, “famosi” alle masse spesso proprio per l’interessamento, mai del tutto “disinteressato” e “per merito”, dei mass – media manipolati o gestiti da un Potere ottuso e impregnato dalla logica del profitto, è una prassi che sembra quasi umiliare e mortificare in questo senso). Dunque, un mondo o una civiltà che non esiste, ma è funzionale al consumismo prodotto dalla pubblicità, che ha bisogno di pensieri moderati, appiattiti e uniformati in un pianeta di benpensanti, tranquilli e quasi allineati. Un mondo o una civiltà auto – definito come regno dell’uguaglianza e delle libertà formali, ma che coincide con la società degli uomini senza qualità (è recentissima la possibile “novità” del prossimo autunno: addirittura un programma televisivo, un talent show, che pretende di scoprire talenti della scrittura, possibili ed eventuali romanzieri e autori di best – seller, i quali forse con la vera letteratura non avranno mai a che fare, in una maratona competitiva ad eliminazione come per la canzonetta o i quiz in pedana o sul podio tv!). Quadro tragico, lugubre, squallido, desolato, drammatico, senza alternativa e sempre a “senso unico”? No, perché anche in ciò si applica il paradossale. I mass – media, e sempre in particolare la televisione, smascherano spesso, con coraggio e competenza, abusi di potere; denunciano l’illegalità, la corruzione, le ambigue collusioni di questo potere spesso oscuro e al di sopra di tutto, onnipresente anche nella più collaudata democrazia, facendo della buona televisione e del buon giornalismo al di sopra delle parti, indispensabili al funzionamento stesso di una democrazia. Si può soccombere ai mass – media in una società ipertecnologica come si può soccombere alle insidie e ai pericoli in una giungla equatoriale, il punto è, a mio sempre modesto parere, trovare il modo giusto o il giusto equilibrio per sapersi difendere e poter sopravvivere, o anche adattarsi e vivere bene… in fin dei conti, l’uomo è sempre stato, fin dai suoi albori su questo pianeta, l’animale delle intemperie e il solo atto a superarle trasformando, di volta in volta, il suo mondo e il suo tempo.
Francesca Rita Rombolà
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