DONNE AL BALCONE
Adoro le donne
al balcone che stendono
panni – capelli dissolti
alle carezze del giorno, soave
incuria di vesti, durezza
lucida di polsi e gioco
svelto delle dita a eludere
i dispetti del vento fra
umidi grovigli di stoffe
ribelli – ostinate forse
ancora ad eccitare da sordi
fili d’arpa la musica
residua del cosmo.
Paolo Mazzocchini
Il buio e la luce. La luce e il buio. Il deserto di sabbia e la distesa di ghiaccio. Il ghiaccio e la lava. La lava e la terra. La terra e l’acqua. L’alba e il tramonto. L’inizio e la fine. Un candore che abbaglia. Un attimo che travolge. La parola che crea, plasma, dona forma, fluisce e rifluisce. Trasforma e si trasforma come energia allo stato puro che ha sconfitto la materia. L’inverno racchiude in sè l’estate. L’estate al culmine del suo splendore prelude già l’inverno.
ZERO TERMICO è il titolo della silloge poetica di Paolo Mazzocchini. Titolo che può apparire curioso o strano, più vicino al campo scientifico che a quello letterario, forse profondo come uno specchio d’acqua cristallino, pieno al suo interno di rimandi, di segni, di dimensioni oltre la logica comune. Dell’intera raccolta di poesie, una scelta immediata ma non scontata, non dettata dal caso o dalla fretta ma forse da una prima lettura di coinvolgimento, cade su DONNE AL BALCONE poesia dosata nei suoi elementi, in equilibrio stabile sul ciglio del mondo in mutamento. La visione delle donne al balcone che stendono il bucato colpisce intensamente Paolo Mazzocchini. Una serie di immagini, veicolanti la vivacità dei significati, stabilisce una specie di momento ludico quasi magico fra il vento, le vesti, i capelli dissolti alle carezze del giorno e i polsi delle donne, mescolandosi e mescolando ciò che le rende forti e nitide. La breve rigidità iniziale è superata subito dall’assenza della scansione temporale, la quale allontana per sempre ogni interferenza perturbatrice e imprime nell’istante, fugace eppure eterno, la bellezza dei vari atti di gesti quotidiani, consueti e popolari. Soprattutto i versi finali della poesia, proiettano ormai l’intero componimento “nella musica del cosmo” lontana, spezzata, persa, forse non più percettibile dall’orecchio dell’uomo se non attraverso la mediazione della Poesia divenuta anch’ella, ormai, “sordi fili d’arpa”.
Francesca Rita Rombolà
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