Si può essere affascinati all’improvviso da un deserto di roccia o di sassi che la cui visione si ha davanti e ne abbraccia l’intero sguardo fino all’orizzonte lontano? E si può immaginare che forse in un punto di quell’orizzonte lontano può nascondersi un pericolo imminente o addirittura un grande mistero che supera ogni paura o congettura umana?
Il protagonista del romanzo di Dino Buzzati, IL DESERTO DEI TARTARI, sembra rispondere in modo perfetto a queste due domande. Il giovane ufficiale Giovanni Drogo rimane subito affascinato dal deserto che si apre alla sua vista, e col passare del tempo, immagina prima e finisce per credere poi, che da quella distesa piatta e senza vita possa giungere un pericolo grave e infine che dopotutto si celi in realtà un grande mistero. Le notti e i giorni non hanno più senso per lui se non in funzione di quello sguardo, ammirato e insieme intimorito, con il quale spazia nell’uniformità dei colori e e delle forme. Il pericolo imminente di un qualcosa qualcosa di imprecisato è laggiù come pure il mistero più grande e inafferrabile. E intanto passano le notti e i giorni, e la sua ansia si consuma,e la sua vita forse si prepara ad un istante supremo di incontro (con il pericolo o con il mistero) che non arriva. Eppure un giorno arriverà questo istante supremo, così temuto e così desiderato; ma per Giovanni Drogo sarà ormai troppo tardi? Forse no. Perchè l’incontro col mistero più alto (cioè la morte) non ha limiti di tempo e quindi non può che presentarsi all’incontro con l’uomo in qualsiasi momento. Forse IL DESERTO DEI TARTARI di Dino Buzzati è uno fra i pochi romanzi della letteratura italiana del Novecento a creare un’aura di mistero in ogni elemento che lo compone, ma soprattutto a stimolare un senso profondo del mistero che sembra trascendere le cose nel lettore più attento come in quello più distratto.
Francesca Rita Rombolà
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