<< (…) Non esiste rivolta senza la sensazione di avere, in qualche modo e da qualche parte, ragione. Chi è oppresso dimostra, con caparbietà, che c’è in lui qualche cosa per cui “vale la pena di…”, qualche cosa che richiede attenzione. In un certo modo, oppone all’ordine che l’opprime una specie di diritto a non essere oppresso al di là di quanto egli possa ammettere. Nella rivolta l’uomo, che camminava sotto la sferza del padrone, ora fa fronte. Oppone ciò che è preferibile a ciò che non lo è. Non tutti i valori trascinano con sè la rivolta, ma ogni moto di rivolta fa tacitamente appello a un valore(…)>>.
Brano tratto da L’UOMO IN RIVOLTA di Albert Camus
Sono passati settanta anni dal 25 aprile 1945.
Data fatidica per l’Italia del presente ma soprattutto per l’Italia del futuro.
Ormai quasi nessun testimone diretto o che ha preso parte a quell’evento vive più, e allora la memoria più immediata si assottiglia e siamo noi (io in primis) a ricordare quel che abbiamo sentito raccontare, da bambini o da ragazzini, dai nostri genitori o dai nostri nonni, cercando di preservare tale ricordo ripulito ormai da ogni sfumatura, vera o falsa, dovuta all’età ancora acerba.
Il Giorno della Liberazione, il 25 aprile, che forse ha sempre avuto un significato profondo e intenso se non per ogni italiano almeno per la maggior parte degli italiani; un giorno di primavera e un giorno di rivolta per la libertà. Le due cose non si escludono anzi, metaforicamente, si compenetrano a vicenda.
Nel 2015 è un bene fare memoria di quel giorno lontano di settanta anni fa e, attraverso la memoria, riuscire a trarre esempio o a portare esempio nel nostro modo di vivere attuale e per quel che la società italiana ha perduto o rimosso nel corso di questi settanta anni.
Come dice bene Albert Camus, nel brano su riportato, “non tutti i valori trascinano con sè la rivolta, ma ogni moto di rivolta fa tacitamente appello a un valore”; questo può significare solo una cosa: la mancanza di valori e di ideali non potrà mai generare rivolta (interiore o sociale) e quindi cambiamento, e un possibile miglioramento di uno status quo a volte anche carente o mancante di libertà e di diritti umani.
Notiamo spesso che il popolo italiano, nel 2015 o giù di lì, non ha più valori e ideali ai quali ispirarsi per lottare e per far fronte alla corruzione, all’illegalità, al lassismo, allo strapotere del dio denaro, all’intorpidimento intellettuale; piaghe ormai quasi endemiche di un popolo e di una nazione smarriti o assenti nel vuoto dilagante della propria storia.
Ciò che è venuto meno, in questi ultimi decenni in Italia, sono la famiglia e la scuola, colonne portanti di una società civile e trasmettitori e divulgatori di valori che accrescono la consapevolezza umana e il bisogno di libertà e di conoscenza. A detta di Albert Camus, l’uomo (l’umanità intera) deve essere sempre in rivolta contro se stesso, contro qualunque forma di asservimento, di servilismo e di assuefazione nociva poiché il pericolo di una perdita parziale o addirittura totale di ogni punto di riferimento civile, culturale, storico e identitario è sempre in agguato dietro l’angolo; ed esorta, perciò, a rimanere sempre vigili e a non abbassare mai la guardia ad ogni generazione “da qui all’eternità”.
Cosa dire, personalmente, riguardo al 25 aprile 1945?
Conservo un labile e fiero ricordo d’infanzia di mio padre, combattente della Resistenza e testimone diretto di quegli avvenimenti, qualche sua frase o rievocazione e il “canto del partigiano”, sulle note coinvolgenti di “bella ciao”, dalla voce di mia madre nel prosieguo del tempo. Gli anni corrono inesorabili e spietati, le stagioni si alternano in attimi appena.
E tutto passa. E tutto scorre. Ma che almeno rimanga, nel cuore e negli animi, quantomai un frammento dello spirito di rivolta umano.
Francesca Rita Rombolà
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