Settecentocinquanta anni fa, ossia nel 1265, in un giorno imprecisato del segno zodiacale dei Gemelli (dal 22 maggio al 23 giugno), nasceva Dante Alighieri. Cercare di dire qualcosa su questa figura di poeta sommo, di vate indiscusso o entrare nel merito della sua grandiosa e vasta produzione letteraria è lungi da me.
Per questo ci sono i dantisti, cioè gli appositi studiosi dell’opera di Dante Alighieri, gli accademici e i dotti vari di ogni parte d’Italia e del mondo, e le celebrazioni per i settecentocinquanta anni dalla sua nascita saranno certamente fastosi, imponenti e numerose dappertutto.
Dante Alighieri è stato fin da subito (quando era ancora in vita) riconosciuto, stimato, riverito come sommo poeta in letteratura e poi, dopo la morte, anche nella vita sociale e quotidiana di ogni secolo fino ad oggi principalmente per una delle sue molte opere. Quest’opera è la Divina Commedia, tradotta in più di trenta lingue e conosciuta perfino (almeno per il nome soltanto) dai sassi che ci sono per la strada.
Per che cosa ha sempre colpito di più i cuori e gli animi di chiunque la Divina Commedia? Forse per gli orrori dell’Inferno, per le pene, i supplizi e le atmosfere che vi si incontrano? Forse per la mite tranquillità che regna salendo via via per la montagna del Purgatorio? Forse per la sublimità descrittiva e quasi impossibile di una struttura mirabile e perfetta qual’è il Paradiso?
La sensibilità di ciascuno è differente e particolare al riguardo. I giudizi anche. Vari livelli di comprensione, di leggibilità, di linguaggio, di musicalità possiede in sè quest’opera creata da un’immaginazione, una percezione, un’ispirazione, un’intelletto che hanno del sovrumano e quasi spaventano mettendo, sempre e comunque, in soggezione il lettore di ogni tempo fino ad oggi. Si dice che della Divina Commedia di Dante Alighieri è stato scandagliato e scoperto tutto e che si sa tutto.
Ma si è stati davvero sicuri e si è ancora oggi così tanto sicuri di avere avuto o di avere la chiave di interpretazione adatta ad aprire le sue enigmatiche porte? Il nome segreto della Divina Commedia è: Mistero. Mistero attraverso il Canto e che del Canto si serve come mezzo per svelare e insieme celare il destino e il fine ultimo dell’uomo.
La concezione di Dante Alighieri sulla vita e sulla morte è al di là di tutto e il tutto supera e sovrasta. Il suo spirito giunge là dove mai nessun spirito è giunto. Vola là dove soltanto l’aquila riesce e può volare… E la Divina Commedia prende forma chiudendosi e aprendosi, aprendosi e chiudendosi e infine completandosi in sè e fuori di sè conclusa, alla maniera di un labirinto. E il labirinto, si sa, non è mai completamente decifrabile.
Forse, per me (dopotutto, anche col rischio di ripetermi), il modo migliore per rendere omaggio al vate italiano e universale per eccellenza è, ancora una volta, il Canto: l’unico modo che conosco e che, sono certa, lui, proprio lui, apprezzerà.
Il mio umile canto, che è e resterà sempre troppo imperfetto e inadeguato allo scopo.
Ritratto di Dante Alighieri
Il profilo severo ma sublime
è divenuto icona
attraverso le generazioni.
Le pieghe delle labbra sottili
rivelano all’occhio attento
tutta la sofferenza, la fierezza,
la profondità di un’anima
perseguitata e inquieta.
Ah quelle tempie
cinte dell’alloro
perchè cantò e cantò
e seppe cantare di mondi, di regni,
di dimensioni dello spirito
spazianti dalle tenebre assolute
all’attesa trepidante,
alla suprema luce.
Conobbe più di ogni altro
l’esilio e l’umile errare
presso i potenti.
Misterioso lo sguardo d’aquila
sorvolerà per sempre
lo spazio e il tempo
nel suo volo di immortalità.
Nacque un giorno
di tarda primavera
e insieme alla natura in fiore
gioirono per lui in cielo
le dodici costellazioni dello Zodiaco.
Francesca Rita Rombolà
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